STORIE

Claudio • Buon panettone!

Una telefonata può allungarti la vita; recitava lo slogan di una pubblicità.

Forse.

Nel mio caso, il rispondere a “quella” chiamata, è stato sufficiente per convincermi riguardo a una certa idea.

Ho sempre ritenuto una finzione cinematografica i grandi raduni delle famiglie allargate, a parte, ovviamente, quelle attinenti al ceto “elitario” o con una componente artistica al proprio interno. Per le prime, quegli incontri, possono essere occasioni utili per sondare terreni e magari stringere future alleanze imprenditoriali. Per le seconde, beh, si sa: gli artisti sono disinibiti (risate di sottofondo, please!). Tra la gente normale, mi riferisco a quella che fatica ad arrivare alla fine del mese, questa tanto declamata apertura mentale che permette di condividere il desco con antichi amori e le relative loro nuove famiglie, non l’ho percepita.Non sostengo che non esista, però mi sembra più un fatto occasionale che una pratica così diffusa. Per lo meno, se accade, non avviene nei primi anni successivi la separazione. Ci vuole pazienza per far sedimentare recriminazioni mai del tutto sopite, soprattutto se “l’altro” si è rifatto, ancora prima, una vita. Siamo, nella migliore delle ipotesi, alla rigorosa suddivisione degli spazi e del tempo.

Prendiamo il caso dei miei figli, ad esempio.

Sono “invitati” a presenziare ben quattro pranzi di Natale, uno successivo all’altro dal 23 al 26 dicembre. Il primo a casa della nonna materna, single e amante del risotto milanese cucinato all’occorrenza; il secondo in casa con la madre e le solite prelibatezze preconfezionate del supermercato; il terzo a casa dei nonni paterni con me e le sempre presenti pietanze mediorientali, infine il quarto a casa del nonno materno, che, come da tradizione di quel giorno, sollecita la seconda moglie a servire in tavola l’immancabile vitello tonnato. In queste occasioni, oltre a scambiarsi i doni e gli auguri, si deve fare molta attenzione a non citare mai gli “assenti” o a esibire i regali da loro ricevuti.

Altrimenti, apriti cielo!

Pensate all’equilibrismo e alle doti di grande diplomazia che i ragazzi devono mostrare in quei frangenti, quando invece sono con la testa protesi ad altro: amici, fidanzati, film da vedere al cinema.

Non importa.

L’iconografia del mese di dicembre richiede, come da incessante bombardamento mediatico, volti sorridenti di persone compiaciute di condividere una fetta di panettone. Per quel giorno, infatti, la crisi economica, ambientale e il terrorismo, e le incomprensioni tra i vari componenti della famiglia, restano, per piacere, fuori casa. Il “volemose tutti bene” è un’epidemia contagiosa, i cui untori sono le maggiori aziende che spendono in pubblicità.

In questo periodo ci si gioca tutto: o si vende o si muore. Già, perché il benessere di molti, e non necessariamente di tutti noi, dipende proprio da questo, dall’andamento dell’economia nazionale e di conseguenza familiare. Mai come in questo frangente si verifica l’attendibilità dell’asserzione che la ricchezza aiuti molto a sopportare l’assenza di felicità. E i sentimenti e le emozioni …quelle belle parole cui abbiamo zeppe le pagine dei giornali e i temini a scuola che fine hanno fatto?

Beh, una volta tanto si possono anche corrompere, magari con un regalo. Ecco perché c’invitano a spendere tanto: per acquistare contentezza da donare. E se poi è griffata, per quanto effimera, vale molto di più. Allora diamoci sotto con l’acquisto di prodotti anche superflui che possiamo trovare ovunque, dall’esotico oriente fino al negozietto etnico sotto casa.

È la fregatura del globale.

Viviamo in abitazioni arredate allo stesso modo, infatti, sembrano clonate, e vestiamo tutti secondo la moda: la medesima. L’importante è non sbagliare le misure e il colore. Lo dico soprattutto a me stesso perché sono recidivo e i miei figli ne sanno qualcosa, e non solo loro. Su questo argomento, appunto, ho ricevuto il tassativo divieto di regalare indumenti o vestiario poiché non ci azzecco con le fogge. Per la verità è andata così anche con le ex compagne; mai che abbiano indossato gli abitini che ho loro regalato. Se non era la taglia, sempre non conforme, eppure io mi documentavo bene prima, era la forma che non convinceva molto, perché non calzava proprio a pennello. Il pensiero però contava, almeno così hanno cercato di spacciarmela, e i miei doni erano ordinatamente riposti in qualche scatola, fino a quando si faticava a ricordare, per poi prendere la comoda strada, l’anno dopo, del riciclo a qualcun altro. E io, che ho una memoria a brevissimo termine, non rammentando più quello che avevo regalato, reiteravo nell’errore e con la spensieratezza del distratto mi presentavo, bello bello, con un dono simile a quello precedentemente “rimesso in circolazione”.

Che questa cosa abbia avuto la sua importanza nel fallimento delle mie relazioni?

Meglio non indagare.

Ad ogni modo l’ansia di prestazione riguardante i regali è una prerogativa squisitamente natalizia. Ne ho avuto conferma proprio durante la settimana dell’Artigianato in Fiera. Ho veduto individui stracarichi di sacchetti ricolmi di chincaglierie provenienti da ogni latitudine. Anche qui, ovviamente, ci conformiamo al gusto imperante.

Sono anni che vedo acquistare campane tibetane o abitini femminili dalla foggia elfica, neppure fossimo abitanti della Terra di Mezzo. Evidentemente dobbiamo regalare “la qualunque” pur di attenuare un certo disagio che s’insinua in noi se dovessimo fermarci a riflettere sul vero significato di questa frenesia consumistica.

Meglio non farlo.

Perché mai dovremmo avvilire una ricorrenza che impone a quasi tutti di mostrarsi felici?

Lasciamoci alle spalle le solite rimostranze degli “obiettori a prescindere” e dedichiamoci alle cose serie: il menù di “quella” sera! D’accordo che siamo divoratori di saghe cinematografiche, non toccatemi Star Wars, ma pure il corpo ha bisogno di nutrimento. E io, adeguandomi all’atmosfera festosa, non mi azzardo neppure a sfiorare il tema dell’ipocrisia!

Il Natale ha sempre rappresentato per noi occidentali il momento esclusivo del nucleo familiare riunito.

In quei giorni, la Nazione intera è in movimento per ricongiungere familiari e parenti affinché possano condividere una celebrazione che d’incerto ha solo la data di quando realmente sia avvenuta. Ma questa è una quisquilia; l’importante è essere presenti col panettone in mano davanti alle lucine che si accendono a intermittenza, alle palle colorate appese a improbabili alberi sintetici o davanti alle statuine poste in prossimità di simulacri immaginari.

Questa è magia vera che si perpetua da oltre duemila anni.

In quella notte può accadere di tutto, anche di sentire una voce librarsi nell’aria fredda e scavalcare tetti e comignoli, attraversare strade e salire su balconi ed entrare nelle case portando un brano evocativo dell’Avvento cantato in forma jazzistica.

A me è accaduto proprio così.

Nel palazzo di fronte cui risiedevo con la mia famiglia, abitava una famosa cantante lirica, divenuta poi nostra amica, che aveva lavorato per anni al Metropolitan di New York; poiché si chiamava come mia figlia, ebbe l’idea di regalarle per un Natale un’esecuzione dal vivo. All’approssimarsi dell’ora fatidica, Bianca, nella stanza con le luci spente ma la finestra spalancata, si esibì in un meraviglioso canto natalizio che riecheggiò nella notte. Lo replicò due volte di fila e tale fu la magia che si diffuse nell’etere che, ricordo, vedemmo tante persone affacciarsi ai balconi e guardare increduli in ogni direzione.

Soltanto la mia compagna ed io sapevamo la provenienza del suggestivo regalo.

Nei giorni successivi inutile dire che nella via cui abitavamo non si parlò d’altro. La persone narravano, ognuno a modo proprio, cosa avesse rappresentato quel canto misterioso e che tipo di ricordi aveva loro evocato. I nostri figli erano troppo piccoli per apprezzare un simile dono; noi adulti, invece, rimarremmo sempre legati al ricordo di quella notte canora. Confesso che se non avessi saputo in anticipo cosa sarebbe accaduto, molto probabilmente pure io avrei provato un brivido d’emozione.

A volte basta così poco per sentirsi “strani”.

Parecchi anni prima, allora ero single e abitavo di fronte alle Colonne di San Lorenzo, la fatidica sera rientrai in casa, dopo il giro con il cane, con l’animo un po’ mesto. Infondo ero da solo quella notte e, per quanto fosse una mia libera scelta, l’umore ne risentiva. Sulla porta di casa trovai un pacchetto appeso alla maniglia e la sorpresa fu tale che mi guardai intorno ripetutamente, ma a quell’ora non c’era in giro nessuno; men che meno una slitta trainata da renne. Entrai in casa con il dono e, rammento bene, esitai ad aprirlo per parecchi minuti, volevo godermi l’emozione di un regalo inatteso. Nessun biglietto di accompagnamento lo rendeva ancora più irresistibile e, lo so non dovrei confessare certe cose, per un attimo ho pensato che lassù qualcuno mi stava tenendo d’occhio.

Dati i miei trascorsi, però, iniziai a preoccuparmi.

Anche perché il portone era chiuso e come cavolo aveva fatto a entrare il misterioso benefattore?

Mentalmente riepilogai le mie varie frequentazioni nella speranza di ricordarmi a chi avevo dato le chiavi di casa, a quel tempo era specie di porto di mare, ma questa è un’altra storia poco adatta alle famiglie, meglio quindi soprassedere. Ad ogni modo, scartandolo, trovai una confezione di olive greche che mi permise di comprendere chi fosse il mio Babbo Natale; qualche sera prima, infatti, le avevo servite in tavola come aperitivo di una cena improvvisata con le inquiline del piano di sotto.

Fino a che ho vissuto da solo, il periodo natalizio era affrontato con molta indifferenza e superficialità.

Il tutto si riduceva, se fidanzato, a quale film vedere quella sera con la mia ragazza; se single, invece, a quale cena di amici presenziare con l’intima speranza di trovare lì una fanciulla che l’anno dopo avrebbe condiviso con me la visione della pellicola di Natale.

Ma non crediate che sia cinico e insensibile al fascino di quella notte, anzi.

Col tempo le cose sono mutate e hanno assunto l’aspetto di due pargoli, i miei figli, intenti a scrivere la letterina riguardo ai regali che avrebbero desiderato trovare sotto l’albero. A casa nostra il presepe non ha mai riscontrato successo; avevamo già cani e gatti e un asinello e un bue in più non avremmo saputo dove metterli.

Ad ogni modo quella famosa ansia da prestazione-regali la ricordo bene.

Si dovevano acquistare durante le mattine della settimana, quando i bambini erano a scuola, e riporli in casa in un luogo inaccessibile. In un’abitazione non propriamente grande, i posti non sono molti. Il clima di dicembre, nel nostro caso, è sempre stato un prezioso alleato.

Il luogo off –limits, infatti, era il grande e lungo balcone dove, all’improvviso, appariva uno spesso telo impermeabile che celava qualcosa cui nessuno è riuscito mai a capire cosa potesse essere.

Avendo il cognome che inizia con la prima delle consonanti noi eravamo dei privilegiati, Santa Claus, infatti, andava dagli altri solo dopo aver incominciato da noi. Giungeva proprio durante la cena del 24 dicembre. Tutte volte che Lui arrivava, maledizione, io ero in bagno, la cui finestra, per puro caso, si affacciava proprio sul balcone e, dannazione, non sono mai riuscito a vederlo. I miei figli, invece, in un paio di occasioni l’hanno intravisto, attraverso i vetri, mentre disponeva in terra i regali. Era vestito in modo un po’ trascurato, comunque nulla di rosso addosso, e portava gli occhiali da sole, nonostante fosse sera. Pure loro non hanno mai avuto la fortuna di udire la sua imponente voce, ma sono certi che gli abbia raccomandato di continuare a essere buoni.

Beata innocenza.

E la famosa telefonata di cui accennavo all’inizio …?

L’ho ricevuta.

Era l’invito a cena per la notte di Natale a casa dell’ex marito della mia attuale compagna, insieme ai loro figli e a quelli della sua odierna moglie.

Famiglia allargata allora, ma complimenti, quindi può succedere…?

Certo, però lui è un artista, e non aggiungo altro.

Leggevo in un articolo firmato da uno psicologo autorevole, altrimenti come potrei saperle queste cose, che due sono i momenti dell’anno a creare tensione e stress alla maggior parte delle persone: il programmare le vacanze estive e la ricerca dei regali natalizi.

Visto, lo dicevo io?!

L’ansia di dove andare nella stagione calda possiamo procrastinarla, per ora, ma l’agitazione per i doni invernali, beh, forse non l’abbiamo ancora smaltita. Io sono in quella condizione, infatti, con che cosa mi presento “quella” sera…un regalo per lui o per la sua lei o per entrambi o solo per la mia lei, che poi sarebbe la sua ex, o una cosa simbolica per i loro numerosi figli…?

Ad ogni modo, spero solo che non cucinino il pesce, lui è un artista, d’accordo, ma io non ho dimestichezza con le spine.

E sempre lì si torna, a “quella” sera e al suo menù.

Per quella mia peculiarità ormai risaputa da tutti quelli che leggono questa rubrica, l’avrò citata così tante volte che mi stanco pure io di ripeterla, sono nato e ho vissuto in terra straniera e il ricordo dell’approssimarsi del periodo natalizio si colora di momenti che rasentano l’originalità e il ridicolo.

Prendiamo, ad esempio, il presepe.

Da bambino vivevo in Sudan e mi chiedevo, osservando le statuine del bue e dell’asinello, quando sarebbe sbucato il coccodrillo a mangiarseli.

Lì, a quel tempo, era una cosa assai normale divenire il pasto di un essere più grande di se stessi.

Mentre facevamo il bagno nel Nilo, dovevamo prestare attenzione ai rettili che vi bazzicavano; la fauna locale aveva una semplice regola: tutto ciò che si può mangiare, si mangia e non ci si pensa più.

Dostoevskij sosteneva che il segreto dell’esistenza non sia soltanto nel vivere, ma anche nel sapere per cosa si viva.

Ecco, io guardando il presepe lo sapevo, non volevo essere mangiato dal coccodrillo.

Buon panettone!

 

 

Immagine tratta dal cartone Disney Robinhood

autore

Claudio Barbagallo-barbecoq

Autore, creativo, padre separato di due figli, fondatore del gruppo Gli ammaccati (sentimentali). Autore di uno dei racconti di smALLholidays, il secondo titolo della collana smALLbooks, edita da Cinquesensi Editore in Lucca. Per il sito collaboro alla sezione “Diario d’autori”.

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