Questa è la storia di Carlotta e Giovanni, ma prima ancora è la storia di tre generazioni di madri sole. Per questo la pubblichiamo a puntate. E partiamo dalla capostipite: la nonna di Carlotta (bisnonna di Giovanni).
Mia nonna si chiamava Teresa ed era l’ultima figlia di una famiglia contadina numerosa che, a causa della guerra e di altri motivi, era decaduta in condizioni di ristrettezza. Così, mentre tutti i suoi fratelli erano andati a scuola, lei, la piccina, è sempre rimasta in casa ad aiutare la madre.
Però a 15 anni ha detto basta. Era il 1923.
Partita da un paesino sull’Appennino, se n’è andata a servizio a Firenze. E dopo tre anni è ritornata incinta. Non si è mai saputo se il fatto fosse avvenuto nella casa dove lavorava o altrove. Non l’ha mai detto, non ne ha mai voluto parlare con nessuno, nemmeno con la sorella. Il mio dubbio è che ci sia stata una violenza. E visto che allora imperava l’omertà, è possibile che la violenza sia stata persino ad opera di qualche parente, magari una volta in cui era andato a trovarla in città oppure in cui lei era tornata a casa. Chissà.
Quando ha partorito, Teresa aveva 18 anni quindi ha potuta riconoscere sua figlia soltanto tre anni più tardi, quando è diventata maggiorenne. E sua figlia, Francesca, mia madre, ha vissuto fino agli 8 anni con la nonna materna. Quando la nonna si è ammalata ed è morta, la bambina è entrata in collegio.
Mia nonna non è stata per niente una donna materna. Era invece una donna molto rigida che ha sempre soprattutto lavorato, molto duramente. Era anche piuttosto bella e seduttiva. E questo è stato invece il problema di mia madre, che nella vita si è sentita sempre meno bella, meno forte, meno tutto.
Mia nonna ha lavorato molto in Svizzera, presso alcune famiglie. Come collaboratrice familiare. Poi è diventata cuoca e ha lavorato come chef, facendo le stagioni nei grandi alberghi. Aveva un atteggiamento estremamente indipendente e ha avuto diversi amanti, ma non ha mai convissuto con un uomo. Ho sempre pensato che fosse una scelta, poi, dopo la sua morte, ho trovato delle lettere e ho capito che invece c’era stata da parte sua una grande difficoltà a stabilire una relazione affettiva.
Era durissima, inoltre picchiava, ma era soprattutto molto orgogliosa, libera, se ne fregava di quello che diceva la gente. Quando ha smesso di lavorare è tornata a vivere al paesello e ha fatto in modo che arrivasse l’acqua lì. Si è battuta. Aveva uno spirito molto aggressivo, rivendicativo, ma alla fin fine credo abbia avuto una vita infelice, senza un amore duraturo verso nessuno. E, nonostante fosse femminista, non aveva nessuna simpatia per le donne. Anzi. Non sopportava le loro debolezze e le loro fragilità.
Così mia madre, quando è rimasta incinta di me, non ha avuto il coraggio di dirle nulla. Mia nonna lo ha scoperto quando io avevo già tre anni.
Mia madre era terrorizzata da lei. Io ero stata messa a balia e la cosa era stata tenuta nascosta. Poi però un parente ha indagato e ha scoperto che Francesca, a Milano, aveva una figlia.
A 78 anni, per concludere la sua vita, mia nonna si è deliberatamente uccisa. Non aveva manifestato tracce di demenza senile. Era lucida.
Aveva vissuto a lungo in grandi città e parlava perfettamente francese, però alla fine, quando si è ritirata, è tornata al paese, sull’Appennino, e ha comprato una casina vicino a quella di una sorella cui era molto legata. Ma sono stati anni tristi perché questa sua sorella era succube del marito-padrone e non era libera di stare con lei e di avere con lei il tipo di relazione che mia nonna invece si aspettava. Quindi anche in quegli anni è stata molto sola.
Il rapporto con mia madre – che stava a Milano – non era dei migliori e io ero ancora troppo giovane per capire la sua solitudine e la sua estrema tristezza.