A casa tutti bene, l’ ultimo film di Gabriele Muccino mi ha lasciato annoiata-amareggiata. Descriverei in questo modo la mia immediata sensazione.
È stato definito un affresco magistrale di quel mondo che ti forma, da cui fuggi e a cui poi ritorni, come detto in apertura di film da uno dei personaggi, ossia della famiglia.
Io non concordo. Le pennellate dell’affresco sono decisamente troppo forti e il tentativo di lavorare su alcuni dettagli per dare una suggestione profonda, sebbene ci sia, funziona solo in parte.
Riflettendo sulla trama
I traghetti non viaggiano, c’è mare grosso così i tre figli, le loro mogli, ex mogli, mariti, bambini, cugini e amici d’infanzia, quel piccolo mondo di annessi e connessi familiari che capita di vedere riunito in occasioni speciali, si trova a condividere inaspettatamente due giorni su di un’isola, nella casa della coppia che li ha invitati a festeggiare il loro cinquantesimo di nozze. Sarebbero dovuti rimanere insieme un pomeriggio, e la facciata superficiale dei loro rapporti avrebbe retto, invece i due giorni sono un tempo troppo lungo. L’imbracatura non regge, le tensioni rompono gli argini, il non-affetto reciproco dilaga. E ognuno esprime il peggio di sé.
Tra i tipi presenti ci sono: l’ aspirante artista ed eterno ragazzino, con figlio ed ex compagna persi per strada; la romantica inguaribile sognatrice con marito mai amato e figlia verosimilmente avuta per sbaglio, pronta a lasciarsi ancora affascinare dal baluginio di un amore dal sapore adolescenziale; il separato e nuovamente sposato, con due figlie, una adolescente e una bambina, oppresso dalla seconda moglie non autonoma e ancora gelosa della prima moglie, algida e distaccata, non adatta alle relazioni sentimentali, secondo la sua stessa autodefinizione; lo sfigato, perdente e squattrinato, con nuova compagna e figlio in arrivo, presente solo per cercare di raccattare un posto di lavoro dai cugini troppo concentrati su di sé per poter essere umani nei suoi confronti; l’aspirante buddhista con marito reiterato fedifrago che vive dentro una proiezione schizofrenica della sua vita, volendone ignorare la realtà; la nonna che ha sopportato anni e anni di tradimenti ma è ancora lì a recitare la sua parte, con il suo uomo, a parlare di quanto sia bello “avervi tutti insieme”, il nonno cui non frega nulla di niente e di nessuno; il malato d’alzheimer precoce con moglie innamorata ma disperata, logorata dal dilemma su come continuare a gestire la malattia del suo compagno; una coppia di adolescenti molto più maturi di tutti gli adulti presenti, bambini sballottati dentro correnti emotive ed isteriche non propriamente pedagogiche; un pianoforte e canzoni d’annata come unico momento di reale coesione. Insomma, un palcoscenico piuttosto triste e molto affollato. Decisamente troppo. Sono tutti tipi rintracciabili in molte famiglie contemporanee, ma appunto, sono tanti, sono troppi e l’insieme risulta eccessivo, ridondante, al limite del caricaturale.
E quindi?
Al di là di vedere interpretazioni attoriali notevoli, la domanda è: e quindi?
Muccino dichiara di non voler esprimere alcun giudizio, alcuna lettura morale, attraverso il film, ma qualcosa dice, evidentemente. E, di fatto, ci dice, che noi, cinquantenni, quarantenni o trentenni, e i nostri genitori, abbiamo fatto solo un gran casino, siamo passati da un estremo a un altro, dal reggere un matrimonio solo in rispetto delle convenzioni al non sapere reggere un rapporto affettivo di fronte al minimo ostacolo, siamo persone instabili, in gran parte perse dentro una fragilità emotiva mostruosa, e che lasciano che i figli vengano travolti da ogni refolo di rancore o di tempeste recriminatorie. I nostri genitori ci tenevano fuori da tutto, o almeno provavano a tenerci fuori da tutto; noi condividiamo con i nostri figli ogni passaggio, anche il più scabroso.
Ma loro, i nostri figli, saranno meglio di noi, loro anzi sono già molto meglio di noi, loro sono in grado di osservare, riflettere, prendere consapevolezza, agire nel segno dell’amore e dell’affetto autentici e tenere i piedi per terra. Loro, veri naufraghi dentro uragani di non-senso, saranno comunque in grado, da soli, miracolosamente, di rimettere il timone in rotta. E andare per la loro diritta strada.
Aiuto! No, non ci sto. Che mi stai dicendo? Tutto questo mi sembra un furto legalizzato. Gli adolescenti, è vero, ormai sono spesso più maturi, consapevoli, amorevoli, imparziali dei loro genitori. Ma basta questo per poter credere che saranno felici? La loro spensieratezza, la loro libertà, la loro innocenza, dove sono, quando vivono dentro famiglie emotivamente allo sbando? Ma non sono forse questi gli elementi base necessari per garantire una possibile crescita felice?
Che cosa conta, davvero, per crescere “bene”, per crescere in tutti i sensi, felici e contenti? Riuscire a guardare il proprio padre con lucidità e dire: “poverino, guarda in che casino è riuscito a mettersi!” Oppure poter vivere coltivando dentro di sé il fuoco sacro della condivisone, della partecipazione, dell’amore incondizionato, dell’avventura?
Sono uscita molto amareggiata dalla visione di questo film perché credo che il quadro proposto sia estremo, eccessivo, perché penso che il senso e il valore della parola famiglia ci sia ancora, perché credo che semplicemente ci siano valori diversi attribuiti alla famiglia, dovuti all’evoluzione dei rapporti stessi, e perché credo che sia fondamentale e imprescindibile, qualunque tipo di casino possiamo avere generato all’interno dei nostri nuclei, riuscire a garantire ai figli un clima di calore e di condivisione di valori che consenta loro di prendere la loro strada non in reazione o su imitazione della nostra, ma la loro strada, in totale libertà. E la libertà di scegliere può nascere soltanto dentro un nido caldo dove il rispetto, la comprensione, la consapevolezza, sono pane quotidiano.
Esiste tutto quello che ha raccontato Muccino. Ma esiste anche altro. La famiglia esiste, resiste. Le famiglie esistono. Che siano grandi, piccole, a due, a tre, a dieci, allargate, rinnovate: ci sono famiglie dove si vive davvero la famiglia, dove si guarda ai figli pensando che abbiano tutti i diritti di vivere la loro avventura a partire da un campo sgombro, e non dai nostri campi di battaglia. Se abbiamo prodotto macerie, dobbiamo essere in grado di rimuoverle e di non lasciarle lì a pesare sul loro futuro.
Si può fare. Si può. È molto faticoso, richiede tanta cura, tanta attenzione, tanto rigore.
Muccino, perché non fai un film su questo?