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Emozioni e pratiche di benessere al tempo del coronavirus

scritto da Alessandra Rizzo

Il dilagare della pandemia e le restrizioni imposte dal Governo hanno visto il diffondersi, in poco tempo, di una crescente ansia collettiva e hanno portato lo sconquasso nelle nostre vite.

Ai clacson delle auto si sono sostituite le sirene delle ambulanze, all’appuntamento per un caffè i bollettini della Protezione Civile, abbiamo attivato lo smart working, la didattica a distanza, le lezioni di pilates su Zoom, organizzato aperitivi virtuali. La casa è diventata, oltre che il baluardo contro il nemico invisibile, il centro pulsante di ogni attività della famiglia, una casa in cui la cucina era sempre aperta per impastare pane, focacce, pasta e torte come si faceva una volta nelle grandi cascine, con le rezdore che dirigevano la baracca.

Il lockdown è stato una prova molto impegnativa che ha prodotto un generale malessere, principalmente per tre motivi (oltre naturalmente alle preoccupazioni per la nostra salute):

  1. cambiare abitudini costa fatica al nostro cervello perché le abitudini lo aiutano a risparmiare energia e tempo e dunque cerca di dissuaderci, come dimostrano le neuroscienze. Nel periodo della quarantena, i cambiamenti – già di per sé difficili – sono stati accompagnati dalla paura di ammalarci, il che li ha resi ancora più stressanti;
  2. gli esseri umani sono esseri sociali e il cervello si è sviluppato anche per gestire al meglio le relazioni sociali; la sua salute dipende in buona parte, dunque, dalla socializzazione. Pertanto, il distanziamento sociale è stato fonte di ulteriore fatica psicologica;
  3. la sovraesposizione mediatica degli esperti – virologi, epidemiologi e infettivologi- che trattano l’argomento da un punto di vista strettamente tecnico-scientifico e che, talvolta, hanno dato informazioni contradittorie, ha incrementato l’ansia e l’incertezza.

Tutto ciò ha agito come un detonatore per le nostre emozioni: la grande maggioranza degli italiani ha vissuto la quarantena con inquietudine, paura, rabbia, tristezza, frustrazione, solitudine, noia, senso di oppressione, nonché disturbi del sonno, disturbi alimentari, difficoltà di concentrazione.

In questo periodo molte donne si sono dovute confrontare con i vecchi stereotipi che le confinano nelle mansioni domestiche e anche laddove non sono riemersi questi modelli, le donne hanno pagato il prezzo più alto, come dimostra il Report Annuale di Save The Children sulle donne nel focus durante la pandemia: per 3 mamme su 4 (74,1%) il carico di lavoro domestico è aumentato e per il 43,9% è aumentato molto. Per non parlare delle famiglie monogenitoriali con bimbi piccoli e una debole rete di supporto, per le quali la quarantena è stata ancora più complessa a livello organizzativo e pesante da un punto di vista emotivo.

Ma che cosa è accaduto alla riapertura del Paese? Alcuni hanno brindato alla libertà ritrovata e si sono subito riversati nelle piazze, nei parchi, soprattutto coloro che durante il lockdown hanno dovuto condividere uno spazio ristretto e/o conflittuale con i familiari. Altri, invece, si sono sentiti ancora più destabilizzati e posti di fronte ad un’altra fatica dopo che si erano appena abituati a stare in casa. L’hanno avvertita come tale soprattutto coloro che durante il lockdown hanno sperimentato l’appagamento di ritmi più calmi e lenti, di attività piacevoli (da soli o condivise coi figli), o hanno vissuto un allentamento dalle responsabilità e dai carichi professionali. Ora provano difficoltà a riadattarsi alla vita fuori casa, a doversi confrontare nuovamente con aspettative, obiettivi e, in molti casi, con l’insicurezza economica.

Secondo la Società italiana di psichiatria (Sip), più di un milione di italiani rischia di sviluppare la cosiddetta sindrome della capanna, ossia la tendenza ad avvertire un senso di disagio, inquietudine e minaccia al pensiero di uscire dalle mura domestiche che in questi mesi sono state protettive, accudenti e in certi casi hanno mostrato una versione semplificata delle nostre esistenze.

Alla luce di tutto ciò, quali possono essere le “buone pratiche” da attuare per conservare e migliorare la nostra salute fisica, mentale e sociale?

  • Imparare ad accogliere e gestire le emozioni evitando di farci travolgere da esse; anche la paura, la rabbia, la tristezza sono normali e “sane” ma vanno accettate e gestite
  • Allenarsi al cambiamento e alla flessibilità (con piccoli esercizi per cambiare di tanto in tanto i soliti percorsi e le nostre routine – lavarci i denti con l’altra mano, fare la colazione salata se abitualmente è dolce, fare una strada diversa per andare in ufficio)
  • Attuare i cambiamenti a piccoli passi, uno dopo l’altro
  • Darsi obiettivi di breve periodo e che siano sostenibili
  • Fare ricorso alle nostre risorse interiori perché ognuno di noi ha le potenzialità dentro di sé per “scalare la montagna” (benché spesso non ce ne sia la consapevolezza)
  • Credere in se stessi, accettare gli errori come esperienze necessarie del nostro cammino, darsi riconoscimenti e gratificazioni
  • Imparare a chiedere aiuto nelle difficoltà: non è un segno di debolezza anzi, di consapevolezza e di intelligenza
  • Nutrire quotidianamente il nostro giardino interiore con gesti, attività, rituali che offrano serenità, relax, senso di pienezza (lettura, knitting, cucina, giardinaggio, scrittura, camminare nel verde …)
  • Allenare l’amore per la bellezza circondandosi di piccole cose belle negli ambienti in cui viviamo
  • Dare spazio alla leggerezza, all’ironia/autoironia
  • Limitare il tempo sui social network e selezionare ciò che è utile e arricchente per noi evitando al contrario ciò che crea ansia, frustrazione
  • Alla fine di ogni giornata pensare alle cose belle, piacevoli che abbiamo visto e/o vissuto in modo da andare a dormire con dei pensieri positivi
  • Dedicare energia e tempo alle relazioni sociali: gli affetti e le amicizie autentiche
  • Esprimere l’affetto che ci lega ai nostri cari e agli amici con parole scritte o verbalmente: fa bene a loro e a noi stessi
  • Fare tesoro di ciò che abbiamo imparato durante questi mesi difficili: quali le piacevoli scoperte? Che cosa ci ha fatto sentire bene? Abbiamo conosciuto persone nuove che ci hanno arricchito?

 

 

autore

Alessandra Rizzo

Ricercatrice sociale e di marketing, da qualche anno free lance dopo quasi un ventennio in Eurisko. Coach e mamma divorziata di una figlia adolescente che mi dà filo da torcere.
Faccio parte di Smallfamilies®, sul cui sito sono presente negli Sportelli gratuiti di ascolto e sostegno a distanza in qualità di coach e scrivo nell’area “Corpo-Spirito-Mente”.

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