L’emergenza casa è oggi uno dei più preoccupanti e drammatici problemi e riguarda anche chi fino a qualche anno fa non ne era toccato, o lo era in minima parte, come il ceto medio sempre più impoverito.
Qui un nostro post sull’opera dell’artivista Cristina Donati Meyer che utilizza l’arte per denunciare le problematiche legate all’emergenza casa.
Non mi dilungherò sulle ragioni che hanno portato a tale situazione. Ogni giorno l’argomento trova spazio sulle pagine dei giornali, tra esperti del settore, in ampie discussione sui social e nelle nostre famiglie.
Studenti fuori sede che piantano tende da campeggio davanti agli Atenei per denunciare l’impossibilità a trovare una soluzione abitativa decente. Annunci di lavoro che restano senza candidati perché lo stipendio è troppo basso per potersi mantenere in una grande città dai costi per l’abitazione sempre più proibitivi, come nel caso degli autisti del trasporto pubblico milanese che non si trovano o degli insegnanti impossibilitati per lo stesso motivo a trasferirsi al nord. Per non parlare degli infermieri. Anche se il diritto alla casa è un diritto fondamentale, come affermano le Nazioni unite.
I cittadini e le cittadine d’Europa abitano in case in affitto o in proprietà?
I dati diffusi da Openpolis raccontano di una situazione europea fortemente diversificata anche se in generale risulta diffusa l’abitudine a vivere in case di proprietà come succede in Italia, mentre in Germania lo è molto meno.
La Germania è infatti l’unico paese europeo in cui le persone in affitto (53,3%) superano quelle in case di proprietà, seguita dall’Austria con il 48,6%. Nei paesi dell’est Europa è invece la casa in proprietà ad avere percentuali molto alte: Romania (95% delle persone), Slovacchia, Croazia e Ungheria (più del 90%)
L’affitto prevale dunque nell’Europa nord-occidentale mentre il sud è orientato alla proprietà. In Italia il 25,7% si dichiara in affitto, dato leggermente sotto la media europea.
Tra il 2010 e il 2022, in diversi stati membri, le persone in affitto sono aumentate (Germania e Danimarca in testa) mentre le percentuali restano invariate in paesi come Francia, Belgio, Croazia e Italia.
Nei Paesi del nord Europa dove, come si è visto, l’affitto è condizione prevalente si registra anche il maggior numero di persone che possiedono una casa in proprietà per la quale si paga un mutuo.
La differenze variano a seconda del paese considerato ma il quadro che emerge dimostra senza ombra di dubbio che chi ha bassi salari vive in genere in affitto non potendo acquistare una casa anche a causa degli ostacoli che incontra nell’ottenimento di un finanziamento. Vi è dunque una corrispondenza tra affitto e condizione socio-economica precaria e a rischio povertà.
Genitori soli e povertà
In questo quadro così articolato e preoccupante si inseriscono le condizioni di vita dei genitori soli, che siano tali perché reduci da una separazione o in quanto genitori unici (e dunque monoreddito), le cui storie raramente rappresentano un categoria di cittadini e cittadine di cui si parla. Eppure, sono quelli che, più di altri, sono a rischio povertà come gli studi e i documenti internazionali e nazionali vanno denunciando da anni. Si veda a riguardo il nostro post del maggio 2023 e l’articolo pubblicato l’anno successivo, maggio 2024, da Openpolis dal titolo “L’impatto della povertà tra le famiglie monogenitoriali dopo il Covid” la cui attività di ricerca è per noi di Smallfamilies fonte di informazione preziosa.
Nell’articolo di Openpolis citato, oltre a ricordare che in oltre 8 casi su 10 i nuclei monogenitoriali sono composti dalla madre sola con figli a carico, si evidenzia, una volta di più, come questa tipologia familiare sia tra le più esposte alla povertà e che la deprivazione sociale che vivono questi nuclei mostra ulteriori segnali di aumento.
Nel testo si legge inoltre come:
Nel biennio 2021-22 i nuclei composti da un genitore solo con figli rappresentano circa l’11% delle famiglie. Nell’81% dei casi la persona di riferimento è la madre; mentre in quasi il 19% è il padre. Nel 2042 circa 3 milioni di famiglie potrebbero essere monogenitoriali. Parliamo di oltre 2,8 milioni di famiglie. In quelle dove la persona di riferimento del nucleo è un uomo – 540mila – si tratta di genitori separati o divorziati (50,2%), vedovi (37%) o celibi (12,8%). Nei circa 2,3 milioni di famiglie dove la persona di riferimento è donna, si tratta di persone separate o divorziate (46,9%), vedove (35,3%) o nubili (17,8%). Secondo le proiezioni di Istat il fenomeno è in crescita: nel 2042, circa 3 milioni di famiglie potrebbero essere composte da monogenitori con figli.
Un ulteriore distinzione può essere fatta rispetto all’età del figlio più piccolo a carico. Si tratta di un minore in circa un milione di famiglie, il 36,1% del totale. In poco meno di 600mila nuclei la fascia d’età va da 18 a 24 anni, mentre in circa il 44% dei casi è una persona di almeno 25 anni”.
Con uno scenario del genere, sia per quanto riguarda la situazione presente, sia considerando il prossimo futuro, ci si aspetterebbe un serio piano di sviluppo di politiche abitative nonché misure e azioni di sostegno al reddito per TUTTE le famiglie in condizione di fragilità senza dimenticare i monogenitori. Evitando così di aggiungere altre emergenze ad una situazione già molto preoccupante i cui effetti nei prossimi anni non lasciano presagire nulla di buono.
Sara cosi?