– Hai presente chi è? È … quello che ha composto le musiche di… Uff, ma perché non mi vengono le parole? Ma sì, dai, il film epocale di fantascienza dove sono sopravvissuti degli androidi, che però in quel film si chiamano… Dio, come li chiamano? – E c’è lui che gli dà la caccia e poi però si innamora…
– Lui chi?…
– Ma sì, lui … no, non è possibile. Non mi viene neanche il nome dell’attore…
– Mamma, ma io l’ho visto il film?
– Ma sì… almeno credo. Sì, dai, quando l’abbiamo visto eravamo… Non eravamo in campagna?
– Mamma, ma cosa stai dicendo?
Ecco, nella mia mente c’era tutto. Vangelis, Blade Runner, Harrison Ford cacciatore di replicanti.
Invece zero. Black out totale. Rotelline mentali fuori uso.
E di fronte l’espressione mista fra l’ironico e il divertito di mia figlia:
– Mamma, dai, ce la puoi fare.
Ora, a cinquantatre anni, questo accade. Vero. Il punto è che accade sempre più di frequente. E questo non è per nulla confortante, soprattutto unito al fatto che il corpo sta dando inequivocabili segnali di caos menopausistico attraverso sbalzi di ogni genere: di umore, di peso, di temperatura, di pancia e di reattività. E unito al fatto che il livello di coscienza di sé nel tempo e nello spazio sembra essere diventato un’eccezione dentro un processo di vaporizzazione, per così dire.
Ma d’accordo, anche questo ci sta. Passerà. Alcune donne attraversano questo periodo senza subire contraccolpi, altre no. Ma prima o poi passa.
Lo assicurano. Crediamoci!
Ma di nuovo, il punto è forse un altro. Il punto è che in quanto cinquantatreenne in preda a disordini menopausistici, io mi trovo proprio all’estremità opposta del filo rispetto a mia figlia di anni quindici.
L’inizio e la fine di quella lunga parabola legata al nostro compagno di viaggio: il ciclo.
Sono stata, all’epoca, una cosiddetta “primipara attempata”. Ora forse i termini si sono spostati. Ora forse solo over 40-45 si viene considerate primipare attempate.
Ma resta il fatto che le ultime tappe del compagno ciclo, come dire, quelle sono e quelle restano. Non sono derogabili.
Così, a volte, soprattutto se si vive 1+1, io con lei e lei con me, affrontare il doppio ordine di mutamento-smottamento-evoluzione dai due capi del filo, può diventare davvero impegnativo, può spaventare.
Doversi occupare dei proprio pezzi che si perdono in giro può togliere molto all’attenzione necessaria perché invece i pezzi suoi stiano tutti insieme.
Perché se la quotidianità spicciola include almeno un gesto del tipo: scuotere la tovaglia dalla finestra del terzo piano con nuovo iphone6 annesso alle briciole, oppure dover rientrare in casa almeno una volta per recuperare qualcosa di fondamentale tipo le chiavi della moto con cui ci si sta per muovere, oppure… oppure? bah, non importa… cosa stavo scrivendo?
Nemo? Gran bel nome…
Insomma, quale può essere la buona soluzione?
Perché una buona soluzione è sempre possibile. Tipo che si deve comprare solo metà degli assorbenti, che per chiamare si può contare sul suo di telefono, e che questa può essere la meravigliosa occasione per ricordarmi che spesso è meglio cedere il passo, seguire osservando dal dietro invece di guidare stando in testa. E che, oltre a riconoscere in astratto che i figli, quando possono fiorire, portano in sé l’intrinseco possibile miglioramento della specie, posso davvero darle fiducia nel concreto quando mi dice:
– Mamma, ti prego, mi so gestire.
Potrei quindi prendere questo scritto e affidare a lei le conclusioni. Sarebbero sicuramente più interessanti delle mie.
– Mamma, dai, te l’ho spiegato un minuto fa…