Regole, genitori, regole imposte dai genitori. È un concetto molto articolato, quello degli argini che un padre o una madre deve costruire per dare al proprio figlio/a un posto nello strano mondo dell’educazione. Sarà tutto ciò che vorrei essere io, farà tutto ciò che non ho fatto, avrà le mie stesse forze ma sarà scremato da ogni debolezza che mi caratterizza. Sì, e magari avrà anche un bel paio d’ali, servosterzo e una carlinga in titanio.
No, esseri umani siamo e ad esseri umani daremo luce. Le regole dei genitori non sono altro che guide approssimative, un po’ sfuocate, come le indicazioni per l’autostrada fornite da un passante per sentito dire. E prendiamola, questa seconda a sinistra, e vediamo un po’ dove ci porta.
Il vantaggio è che, in questo caso, il passante ti vuole bene, è in buona fede e molto probabilmente darebbe la vita per te.
Quella delle regole tra figli e genitori è una dimensione completamente soggettiva, libera, uno spazio neutro plasmabile a completa discrezione che, tuttavia, deve fare i conti con il buon senso, il senso comune (chi ha mai capito la fine del primo e l’inizio del secondo), le imposizioni culturali e le impostazioni familiari, ovvero l’impronta che riceviamo dai nostri genitori e che questi ultimi hanno ricevuto a loro volta dai nostri nonni. Se c’è una cosa che ho imparato è che da questo non si scappa, i modelli comportamentali che riconosciamo nell’ambiente familiare sono inevitabili come impulsi elettrici che stimolano mente e corpo e portano a interagire col mondo circostante.
Se ci riflettete, le regole genitoriali sono la più grande giurisdizione della storia che sopravviva per tradizione orale. Certo, si evolvono col passare del tempo e delle generazioni, ma non c’è istituzione al mondo che ci dia alcuna garanzia: è possibile che nessuno mi sappia dare una prova tangibile del fatto che rispettare sempre le decisioni dei genitori sia una cosa giusta? Qualcuno sa dirmi in che ufficio rilasciano il certificato di buona azione per il tenere aperto il cancello al vicino? E per il discorso del tornare entro la mezzanotte, che facciamo? Fino ai 15, 16 o 17 anni?
Ma non è a questo che servono le regole. Esse danno uno schema, forniscono un metodo, e come tale è solo uno strumento su mille per impostare almeno le basi della propria vita. Magari nemmeno il migliore, ma è necessario farlo quadrare perché se non li tiri su, gli argini, e se non ci pensi a tempo debito, la natura farà il suo corso anche senza di te lasciando che la personalità di chi hai il compito di crescere penetri nel terreno e si faccia spazio tra terra e rocce senza alcuna guida. Come viene viene, e se tiene tiene.
Non è facile, nessuno l’ha mai detto né ha mai fornito alcun libretto di istruzioni per l’uso. Personalmente non ho figli e attualmente scorgo la dimensione genitoriale lontana come non mai. Ma da figlio, questo sì, posso voglio e devo dire ciò che ho capito in tutti questi anni di domande, dubbi, incertezze e profonda riflessione. E le mie conclusioni le dico a gran voce, senza grida ma con voce sicura, serena, consapevole: vale solo l’esempio.
Non importa se i genitori siano separati o meno, siano due oppure uno solo.
Quante volte penso alle parole dei miei genitori in momenti di incertezza, e quante volte cado inevitabilmente nell’inganno delle stesse medesime contraddizioni che vedo in loro e che percepisco nelle loro parole. Credo che sia da qui che debba partire il lavoro del figlio, di chi riceve, di tutti noi, che dobbiamo essere capaci di andare oltre le debolezze di chi ci vuole bene e invece approfittare della grande saggezza che è in grado di darci. E se il nostro cuore è grande abbastanza, restituire il favore.
Ma prima devo imparare a sciare, ad amare senza temere, a rispettare le scadenze, a viaggiare da solo, a non essere ritardatario, a bastarmi, a non procrastinare, a cantare, a perdonare. Perché di una cosa sono certo: non si può crescere se non si ha ancora finito di crescere.