Se c’è una parola che sembra caratterizzare questo inizio d’anno quella è sicuramente “sharing”. Sempre più ascoltiamo discorsi che ruotano attorno a questo concetto: condividere, condividere, condividere. Sarà anche diventata una parola di un po’ alla moda di questi tempi ma a noi piace, anche perché è questo uno dei principi da cui siamo nati come Smallfamilies: condividere, appunto.
Su questo principio stanno nascendo siti, iniziative sul territorio, libri.
Al tema è dedicato il libro di Marta Mainieri, Collaboriamo! Come i social media ci aiutano a lavorare e a vivere bene in tempo di crisi (Hoepli, 2013) ed è nato un sito: collaboriamo.org che proprio ai servizi collaborativi è dedicato.
Per servizi collaborativi digitali si intendono tutti quei servizi che mettono direttamente in contatto le persone mediante piattaforme digitali che consentono di scambiare, condividere, vendere direttamente prodotti, beni, competenze. Questi servizi si definiscono “collaborativi” perché prevedono uno scambio fra pari e digitali perché abilitati dalle nuove tecnologie. Con il loro aumentare aumentano non solo le opportunità di fare cose insieme, trovare sinergie e punti di contatto ma anche le possibilità di individuare soluzioni concrete che possono rispondere alle nostre più diverse necessità quotidiane. Non a caso questa tipologia di servizi è in forte crescita in tutto il mondo e sempre più anche in Italia, sia per numero di utenti sia per numero di piattaforme che continuano ad aprirsi. I dati italiani parlano di 260 piattaforme collaborative di cui 160 di scambio e condivisione, 40 di autoproduzione e circa 60 di crowding.
La scelta di utilizzare servizi e piattaforme collaborative, di insistere sulla diffusione della sharing economy, è dettata dal desiderio di risparmiare (la forte crisi che stiamo vivendo in questo ha un ruolo decisivo), dalla diffusione delle nuove tecnologie ma anche dalla volontà di promuovere la sostenibilità, di modificare stili di vita e di consumo, di migliorare i servizi esistenti e di crearne di nuovi più orientati alle reali necessità delle persone e delle comunità.
Ho passato diverso tempo navigando nel sito collaboriamo.org ed è incredibile la quantità di servizi collaborativi italiani che si possono trovare. Servizi online ma anche iniziative sul territorio. Dalle piattaforme per il noleggio di giocattoli, il baratto di oggetti, case, soggiorni al carpooling. Dai servizi di social dining, alle vacanze in vela fino ad un motore di ricerca geolocalizzato per trovare babysitter, tate e puericultrici nella propria zona. Ma c’è anche un portale di TIR sharing dedicato ai trasportatori che propongono condivisioni di carichi e lo Sharing Hotel Residence, inaugurato nel settembre del 2011, iniziativa di housing sociale temporaneo a Torino. Nell’elenco non manca l’esperienza di “social street” che ha origine dal gruppo facebook “Residenti in Via Fondazza -Bologna” iniziata nel settembre 2013 e ora in forte espansione in tutto il Paese.
“Dalla casa all’orto, dalla macchina ai vestiti, dalle competenze al tempo, oggi in rete si condivide e si scambia di tutto – per riprendere le parole usate nel sito – .Sempre più persone, infatti, si incontrano attraverso servizi collaborativi digitali (…). C’è chi fa rientrare questi servizi all’interno di un movimento chiamato consumo collaborativo, e chi dentro a un concetto più ampio che è quello dell’economia della condivisione ma comunque li si voglia chiamare sono servizi che, pur nella loro diversità, hanno dei valori e delle modalità operative comuni e che prediligono l’accesso al bene invece della proprietà, la fiducia invece della diffidenza, la filiera corta come alternativa a quella lunga e così via”.
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