Progetto Oltre la pandemia STORIE

Un bel frutto nonostante tutto • Cora (e Agata)

scritto da SF storie

Per me pandemia e lockdown hanno significato soprattutto smart working. E l’ho vissuto talmente male che anche quando ho avuto oppure ho ancora la possibilità di lavorare a casa, ne ho il rifiuto, lo faccio solo occasionalmente, di fatto quando c’è lo sciopero dei treni.

Tutti i colleghi preferirebbero continuare a svolgere smart working, io assolutamente No!

Lavoro in città, distante da casa. Sono pendolare, mi muovo in treno, e lavoro in un ufficio a tempo pieno, faccio parte del personale tecnico-amministrativo di una grande azienda del settore pubblico.

La mia bambina era a metà della prima elementare quando c’è stato il primo lockdown ed essendo così piccola, dovendo imparare tutto dalle basi, quando è partita la dad è stato un incubo. Due ore di lezione al mattino e una nel pomeriggio, fino a giugno, ed è stato solo un calo nell’apprendimento, una discesa. I primi giorni li ha vissuti come novità poi è diventata solo noia, distrazione, caos. Agata aveva fatto il primo quadrimestre in salita, molto bene, lei è timida e introversa e a scuola e a casa avevamo fatto un bel lavoro fino al lockdown. Il lockdown ha significato noia ma anche chiusura dei rapporti perché per i bambini timidi e introversi la dad è stata solo un’amplificazione di questa tendenza, non certo un aiuto.

Io ringrazio di aver avuto la possibilità di attivare lo smart working ma non essendo uno smart working organizzato, concordato, per cui viene erogato un computer, una postazione utente ad hoc oltre a connessione internet e cellulare, ed abitando in un paese piccolo con una connessione internet all’epoca pessima – non era ancora arrivata la fibra – ho dovuto faticare molto e anche sostenere costi extra. Ho dovuto comprare una stampante per la stampa dei compiti di mia figlia e per determinate cose di lavoro, e soprattutto ho lavorato tantissimo, molto più ore di quante ne avrei lavorate in ufficio, e molto male. Mi collegavo la mattina presto e magari staccavo alle sette, alle otto di sera… La connessione era lentissima.

Per fortuna avevo già due computer. Un Mac fisso oltre a un portatile che usavo a volte per seguire workshop, corsi etc

Almeno in quel senso ero a posto, diciamo così, anche se non del tutto, visto che il Mac non è proprio compatibile con le postazioni amministrative che uso di solito.

Viviamo in un monolocale e io stavo al tavolo in cucina mentre lei stava quasi di fianco a me, sul divano.

Quando Agata era collegata, io ovviamente non riuscivo a seguire il lavoro; se entravano telefonate a volte non riuscivo neanche a rispondere e dovevo richiamare. Non avendo un cellulare di servizio lo facevo col mio cellulare quindi ho contattato tante persone e alcune poi si sono dimenticate dell’emergenza e continuano ancora a chiamarmi sul mio numero personale.

Comunque, stare a casa in due, e doversi connettere, era diventato un vero problema. Lei non si teneva le cuffie, non funzionava, io non riuscivo a fare riunioni in team. Tutto andava a rilento, dieci pagine aperte contemporaneamente…

A un certo punto ho dovuto trovare una soluzione e ho ricavato per lei un angolino ristretto in camera, dove dormiamo insieme, così potevo chiudere la porta e lasciavo lei collegata senza però più controllare che cosa faceva. La sentivo a volte che cantava… Mi mettevo le cuffie e almeno io riuscivo a seguire le riunioni. Poi finalmente è finita la scuola.

Mi rendo conto che i problemi sono ben altri, per fortuna non ci siamo ammalate, ma è stata dura. Alla sera ero veramente molto stanca, le prime settimane non riuscivo a dormire, avevo senso di colpa e ansia per tutte le ore che toglievo al lavoro perché sapevo che in qualche modo le avrei dovute recuperare. Mi svegliavo presto, finivo tardi, ma dovevo comunque seguire Agata, farle fare i compiti, cucinare, fare scansioni col cellulare per caricare i compiti in un programma della scuola. Fare foto e caricare, fare foto e caricare… E non avendo allora la fibra, la linea cadeva continuamente.

Fino alle undici, mezzanotte, sempre col sedere attaccato alla sedia.

E Agata da sola, sempre.

Vivo in Italia da 15 anni e qui sono completamente ambientata, ma sola. La mia famiglia vive in Messico.  Quando è nata Agata e per una ridicola questione burocratica, di chiusura iscrizioni, non l’hanno presa al nido, nonostante io abbia bussato a tutte le porte possibili, disperata, ho preso un’aspettativa con riduzione al 30% dello stipendio e sono tornata in Messico. Là non è andata molto bene quindi sono rientrata. Agata aveva nove mesi, avevo pensato che in qualche modo ce l’avrei fatta, stringendo i denti. Invece poco dopo mi hanno chiamata perché si era liberato un posto al nido ed ero la prima in graduatoria. Tutti i giorni dalle sette e mezzo alle sei di sera. La prima ad entrare e l’ultima ad uscire.

Il padre di Agata non ha mai vissuto con noi e Agata ha una relazione con lui e i nonni paterni da qualche anno; dopo la scuola lei generalmente sta a casa loro, ma  durante le chiusure non sarebbe stato neppure immaginabile. Inizialmente per precauzione e poi anche semplicemente perché non sanno come accedere alla rete.

Vivo in corte, siamo tre abitazioni nel mio piano. La mia vicina di porta mi ha sempre aiutata sin da quando è nata Agata. Meno male che c’è stata lei, un angelo dal cielo, soprattutto i primi anni, diciamo che è un famigliare acquisito.

Durante il lockdown a volte andavo a fare la spesa durante la pausa pranzo, di corsa, e la chiamavo per dirle: lascio Agata a casa per un’ora e lei si affacciava per controllare… Ma di fatto ci siamo viste sempre di sfuggita. Anche lei lavora. E ha un cane, Frida. La nostra grande fortuna.

Il cane è stato in quel periodo la migliore distrazione per mia figlia. Sono quasi sorelle!

Frida era nostra dal mattino fino alle otto, nove di sera, ma almeno così Agata ha passato tanto tempo a giocare con lei, poi la portava giù in cortile, la seguiva per i bisogni, raccoglieva, aveva imparato. Faceva tutto.

Finita la scuola, a giugno 2020, ho iscritto Agata al centro estivo. L’ha frequentato per ben sette settimane, ma nei giorni in cui era a casa io me la sono portata un po’ di nascosto in ufficio con me perché avevo avuto la possibilità di rientrare, volendo, ed io lo volevo assolutamente, pur dovendo affrontare un costo aggiuntivo, visto che con la bambina andavo al lavoro in auto perché non volevo che lei prendesse il treno durante la pandemia.

Non mi piace vantarmi di mia figlia, ma devo dire che in quelle occasioni è stata davvero bravissima. In ufficio lei stava in un angolo nascosto, tranquilla, portava quaderni per scrivere e disegnare, computer per vedere un film, e così riempiva le giornate. Arrivavo alla mattina molto presto, mi chiudevo in ufficio, e per fortuna ero da sola perché le altre colleghe erano a casa. I corridoi erano silenziosi, il mondo era in smart working, ma io preferivo così, almeno potevo lavorare velocemente, con tutte le comodità, e Agata non si lamentava.

A settembre, quando è finalmente arrivata la fibra, ho attivato subito un nuovo abbonamento quindi nel secondo lockdown abbiamo avuto un disagio in meno.

Già, perché a ottobre 2020 c’è stata un’altra chiusura lunga.

La fibra, Agata di un anno più grande quindi un filo più autonoma, io collegavo il suo computer, chiudevo la porta della camera, la situazione era migliore, da un certo punto di vista, ma …

Se con la scuola in presenza lei si gestisce i compiti in autonomia, con la dad tutto si blocca, manca lo stimolo, la lezione è un caos, tutti che parlano insieme, tutti che alzano la  mano insieme, tanti bambini chiacchieroni che parlano comunque, anche quando viene detto di chiudere il microfono. Caos. E lei allora abbassava la testa e si annoiava, aspettava.

So che alcune scuole sono riuscite a rimanere aperte per i bambini con difficoltà, con la possibilità a turnazione, una settimana sì e una no, di frequentare in presenza.

Sarebbe stata un’iniziativa utile per tutti, anche magari con turnazione di due settimane.

La classe di Agata è di 25 bambini, avrebbero potuto fare turni di 8, almeno per i bambini così piccoli com’era lei.

Per fortuna quest’anno, finora, nessuno della sua classe si è ammalato quindi hanno potuto frequentare sempre in presenza – l’unica classe! – ma la possibilità di andare in dad c’è ancora quindi davvero dovrebbero trovare un modo per migliorarla, ad esempio inserendo anche qualche ora di gioco, qualcosa di interattivo con i compagni.

In ogni caso, verso la fine del 2020, io stavo davvero male. Avevo il terrore che non se ne venisse più fuori.

Non avevo paura di ammalarmi, i bambini non si ammalavano, allora, io stavo sempre chiusa in casa e quando uscivo stavo molto attenta, mi disinfettavo etc quindi ero tranquilla. Quello che mi angosciava era l’incertezza sulla fine della chiusura.

Io e lei siamo sempre in giro. Ci piace fare attività fuori. Essendo io sola con lei, fin da quando l’allattavo, lei si è abituata a stare in giro con me e con le mie amiche, i miei amici.

Durante il primo lockdown mi ero detta qualcosa tipo: vabeh, facciamo questa esperienza nuova, vediamo come va. Ma la seconda volta è stato solo: ma quando finirà tutto questo? Quando potremo uscire di nuovo e fare tutte le nostre attività? Quando (Agata) potrà riprendere nuoto? E intanto continuavo a posticipare il volo aereo per andare a trovare la mia famiglia in Messico…

Nel lockdown stretto, il primo, il sabato e la domenica uscivamo insieme per andare a un parcheggio grande dietro casa dove lei faceva un giretto con i pattini. Ad ottobre, il sabato e la domenica uscivamo a camminare nel bosco. Almeno quello, però sempre e solo io e lei.

Dal lockdown, però, è uscita fuori, anche una cosa bellissima.

Nel febbraio 2021, quando le classi erano di nuovo a casa in dad, visto che Agata non guarda la tv, ma preferisce ascoltare la musica, passava le ore a cantare a ballare, soprattutto, finché su youtube ha scoperto i tutorial di ginnastica. E si è appassionata. Con costanza si è messa ogni giorno a fare ore di zumba, yoga (la sentivo anche fare om…), danza moderna, la vedevo piegarsi in varie posizioni quindi le ho preso un paio di tappetini e da che era un tronchetto rigido che non riusciva a piegarsi, nell’arco di tre mesi, è arrivata a fare il ponte e persino una vera spaccata. E la sua dedizione è diventata quasi un’ossessione

Pensavo: le passerà. Invece non le è passata. A settembre 2021 l’ho quindi iscritta a ginnastica artistica, e dopo due mesi le hanno proposto di entrare nella squadra di pre-agonistica, nonostante sia praticamente un’autodidatta. Per me si complica la vita perché fa allenamento più volte alla settimana e per tante ore, ma lei è felice, anzi euforica. Fra un mese dovrebbe fare la sua prima gara.

Le altre bimbe dell’agonistica vengono da un percorso di formazione vero, più lungo, lei invece è frutto solo del lockdown. Un gran bel frutto.

autore

SF storie

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