STORIE

Vale&Flavio, otto anni dopo cosa ho imparato

scritto da SF storie

Il caso vuole che mi ritrovi a scrivere questa mia testimonianza giusto oggi. Il calendario segna martedì 19 marzo, San Giuseppe anche detta “Festa del Papà”.

Per anni, da quando è iniziata la mia vita da genitore, ho rivendicato anche con un certo orgoglio questo duplice investitura. Mamma e papà allo stesso tempo, che forza!
Sì, che forza. Che fatica. Che stanchezza. Che…

Se è vero che la vita c’insegna a non fare troppi programmi, men che meno quelli a lungo termine perché sono i primi a saltare, io questa lezione l’ho imparata bene ad agosto del 2012. Mio figlio aveva un anno, la famiglia che pensavo di aver costruito si è sgretolata ed io – non giovanissima sia chiaro, avevo 32 anni – mi sono ritrovata con un figlio da crescere e una vita da ricostruire. Che poi la grande ingiustizia di quando ci si separa è che se muore la coppia, non è che con lei è da seppellire pure la famiglia. Certo, il nucleo che condivide lo stesso tetto non esiste più ma non il concetto di famiglia, l’istituzione sociale quella esiste e come. Anzi, a volere essere chiari è proprio quando ci si separa che ognuno, dal proprio canto, dovrebbe metterci il doppio dell’impegno.  Ma le cose – lo sappiamo bene – non stanno così ed io che sono abituata a parlare di ciò che conosco in base anche alle mie esperienze personali, vi dico che ancora oggi nell’era del 4.0 i figli continuano ad essere delle madri esattamente come 2024 anni fa.

Gisella e Smallfamilies, mi hanno chiesto di raccontare la mia esperienza anzi per la precisione di “aggiornarla”, perché della mia vita da mamma single ne parlai sempre qui 8 anni fa.
All’epoca di quella prima pubblicazione mio figlio aveva 5 anni, oggi ne ha 13.

La richiesta di una nuova testimonianza è arrivata un paio di settimane fa, quando pubblicai sul mio profilo facebook un articolo, l’ennesimo in cui veniva ancora una volta romanzato il ruolo della coraggiosa mamma che fa anche da papà, e che la forza per fare tutto la prende dall’amore che i figli le regalano. Non dico che non sia vero, anzi. E sarei ipocrita a negare l’emozione che provo quando mio figlio mi dimostra affetto, quando ridiamo per le stesse cose, quando torna a casa felice per un bel voto che non vede l’ora di comunicarmi. Ma credo sia giusto andare oltre questa bella cornice, ed io lo faccio consapevole di essere una voce stonata fuori da un coro che ci vuole tutte mamme casa – famiglia – lavoro esattamente in quest’ordine.

Vi dico che fare da madre e padre è faticoso e che nessuna donna dovrebbe addossarsi in maniera esclusiva questo carico mentale e fisico.
E sapete perché? Perché a lungo andare c’è il rischio di non farcela.

E ancora, sgomberiamo il campo da false aspettative: in questo paese il patriarcato gode di ottima salute motivo per il quale se pensate di crescere un figlio da sole, sappiate che nulla vi sarà regalato.
Anzi, fatevi bene due conti e cercate di capire se con le vostre entrate riuscite a pagarvi una baby sitter o un buon asilo che abbia orario prolungato.

In alternativa puntate parecchio sullo smart working, quello – almeno per la mia personale esperienza – è stato salvifico.

Cercate di costruirvi un tessuto sociale in cui ci sia un reale mutuo soccorso e se non riuscite (non è scontato) assicuratevi di avere voi stesse dei genitori pronti a farsi carico di una parte del vostro fardello.
Dolcissimo, prezioso, meraviglioso ma è pur sempre un fardello.
Ecco sì, i nonni. Senza i miei genitori io affermo da sempre e senza vergogna alcuna che avrei patito 100 anni di solitudine. Loro e solo loro hanno condiviso con me la crescita di mio figlio.
Nessun altro ed è stato così ieri, è così oggi e lo sarà domani.
So che ci sono tante donne che non hanno la fortuna che ho io, a loro mando il più stretto degli abbracci perché posso solo immaginare cosa voglia dire.

Posso immaginare cosa voglia dire sentirsi rimbombare nella testa quella risposta di fiele quando magari ci si lascia andare ad un momento di scoramento: “Hai voluta la bicicletta? E adesso pedali” oppure, quel maledetto proverbio “Bimbi e grulli. Chi li fa se li trastulli”.
La cosa che posso dire con certezza, è che si deve chiedere aiuto e bisogna farlo a gran voce, nella convinzione di rivendicare un nostro diritto e non nel timore di mettere in vetrina una nostra debolezza.

Dobbiamo rivendicare il diritto a non farcela più, perché se l’altro genitore ha deciso di mollare e noi no, chi ci vuole bene, chi conosce la nostra situazione, chi ama i nostri figli ha il dovere morale di prendersi un grammo della nostra fatica. Un grammo, di questo si parla.
Dovete liberarvi da quel senso di colpa che vi fa credere di essere pessime madri se quella sera a settimana, se quel weekend una tantum, lasciate vostro figlio dai nonni e vi prendete del tempo per voi stesse.

Non c’è niente di male a desiderare altro oltre la maternità; siamo donne che meritano di viversi un amore, di coltivare le amicizie e interessi, di costruire la nostra carriera.
Non vi sentite in colpa a chiedere a nonni, zii o chiunque di fidatissimo “Domani può restare da te a dormire?”. È normale, è sano, è umano volersi staccare dal proprio figlio per qualche ora.
Non vi garantisco una profusione di sì in risposta, ma voi non demordete e chiedete.
Io, sempre per mia esperienza, posso dire che oltre ai miei genitori non ho ricevuto l’aiuto di nessun altro. E quando dico nessuno intendo proprio questo: nessuno.
Mi dispiace perché probabilmente ho succhiato un bel po’ di energia ai miei genitori ma sono convinta – e non lo dico per scendere a patti con dei naturali sensi di colpa – che loro da questa vita condivisa con mio figlio abbiano sì dato tantissimo ma pure ricevuto altrettanto. E nel gioco del dare avere mio figlio è quello che “sbanca”, avere dei nonni come i suoi equivale a vincere al Supernealotto!

E in ultimo, non mollate e pretendete tutte le agevolazioni che vi spettano di diritto.
Dal posto in graduatoria all’asilo nido comunale, al bonus psicologo, alla maggiorazione dell’assegno unico. Perdonatemi se faccio la praticona, ma crescere i figli da sole vuol dire anche questo: concretezza.

Chiudo questo fiume di parole dal sapore agrodolce, con un finale a tinte dolcissime dicendo che oggi più di ieri posso affermare con serenità che la vita che ho è esattamente quella che ho sempre desiderato. Una casa mia e di mio figlio, un tessuto sociale solido fatto di famiglia e amici.
Un compagno che ha deciso di camminare con noi, non un passo avanti né uno indietro ma accanto, perché le famiglie si possono distruggere cento volte e ricostruirle cento e una.

 

foto generata con AI

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