STORIE

Carlotta e Giovanni/terza parte

scritto da SF storie

Questa è la storia di Carlotta e Giovanni, ma prima ancora è la storia di tre generazioni di madri sole. Per questo la pubblichiamo a puntate. In questa terza e ultima parte parla la figlia, cioè Carlotta (la mamma di Giovanni). [qui la prima parte] [qui la seconda parte]

L’istituto era strutturato in quattro ali. Ogni ala aveva sei camere, un bagno comune, una cucina e una stanza con dei bagnetti. Per 24 ragazze con 24 bambini.

È vero che non per tutte è andata bene. Due le ho ritrovate, anni dopo, che si prostituivano regolarmente. Una sotto il ponte di Lambrate, l’altra in piazzale Cuoco. Ma in alcuni casi, come il mio, quella proposta è stata davvero di enorme valore. Degli sprechi ci saranno anche stati, ma il tutto ha avuto un’utilità sociale evidente. Io sono un esempio vivente di come si possa essere salvati dal welfare pubblico.

In quella specie di comune anarchica di madri nubili e bambini scatenati,

ho trascorso tre anni dopo di che, con un’altra ragazza ospite dell’istituto, sono riuscita a prendere una casa in affitto: io, lei e i due bambini; in seguito abbiamo ospitato anche un’altra ragazza sola con figlio. All’epoca, era il 1975, avevo fatto richiesta per insegnare nelle scuole comunali ma non c’era posto così mi hanno proposto di lavorare per il censimento e, in seguito, un commissario del personale mi ha aiutata a identificare dei concorsi adatti a me. Grazie a lui ho lavorato stabilmente per molti anni nella scuola pubblica.

Nella mia vita ho incontrato diverse persone che hanno creato delle vere svolte, che mi hanno un po’ “salvata”.

Una è stata questo commissario.

Un’altra è stata una mia insegnante delle scuole medie.

All’epoca io stavo tutta la notte sveglia, terrorizzata dall’idea che il marito di mia madre potesse arrivare a molestarmi. Mia madre non sapeva come gestire la cosa. Mi ha detto più volte: «gli ho parlato e mi ha detto che non lo rifarà più». Ma lui ricominciava.

La mia insegnante si è accorta che c’era qualcosa che non andava – il mio rendimento scolastico era totalmente crollato – e ha trovato il modo di farmi parlare. Io le ho raccontato, nonostante mi vergognassi. Mi vergognavo moltissimo di quest’uomo, mi vergognavo della mia famiglia, mi vergognavo di mia madre perché pensavo che fosse stupida.

Comunque, l’insegnante ha fatto la segnalazione e io sono stata messa in collegio.

Soltanto dopo, ho realizzato che invece di allontanare lui dalla famiglia, sono stata mandata via io, comunque, evidentemente, non c’era altra possibilità. Mia madre non ha mai avuto il coraggio di denunciarlo.

Posso così dire di essere stata salvata da un’insegnante, da alcune assistenti sociali, da un commissario del personale. E soprattutto da mio figlio.

Oggi sono un’operatrice shiatsu.

Ho iniziato a collaborare con un centro diversi anni fa e l’amica grazie alla quale sono arrivata in contatto con questo gruppo, a distanza di molti anni rispetto a me, ha ugualmente avuto un figlio da madre sola.

E ricordo che all’epoca mi aveva detto: “sai, tu eri così felice, così positiva, che ho sempre pensato che avrei voluto fare un figlio e farlo presto, come hai fatto tu.”

Non è stata l’unica. Nonostante tutte le difficoltà e i problemi, io ho infatti vissuto la mia maternità in un modo tutto sommato allegro, spensierato. Molte amiche mi vedevano così felice e spensierata, che mi hanno seguita. Ho fatto un po’ tendenza e ho contribuito anche a dare una spinta verso l’idea che si possa avere un figlio senza tenere presente un modello, senza doversi annullare completamente, senza subirlo.

Era sempre con me, e questo faceva la differenza. Non sapevo separarmi da lui; per me era troppo doloroso. Certo, lui non aveva orari. Sì, quella flessibilità forse è stata un po’ eccessiva, per lui, ma era l’unica forma compatibile con la vita che facevo allora, con gli amici che avevo. Ero l’unica ad avere un figlio, ma erano gli anni Settanta e c’era uno spirito di gruppo vero, inclusivo, accogliente. C’era una bella leggerezza. E lui è cresciuto e rimasto così, molto libero, viaggiatore, sicuramente fuori dai canoni.

Le cose sono state più complicate dal punto di vista sentimentale.

18 anni di differenza sono pochi e noi siamo di fatto cresciuti insieme. Avevo ancora bisogno di capire che cosa volevo, se volevo un compagno, se volevo essere amata e come volevo essere amata, e lui c’era già. Non è stato per niente facile. Finché, quando mio figlio aveva quattro anni, ho deciso di sposarmi. E ho commesso l’errore più grave della mia vita. Spinta dalla famiglia di mio marito e dagli assistenti sociali, non ho ascoltato la voce che mi diceva che non era giusto farlo e mi sono adeguata alla consuetudine corrente: gli ho mentito e gli ho fatto credere che quell’uomo fosse suo padre.

Erano anni in cui non si diceva la verità neppure ai bambini adottati. Tutti ti consigliavano di mentire. Ma per me quello sarebbe poi stato un peso quasi insopportabile.

Dopo qualche anno io mi sono poi separata da questo marito, ma per mio figlio lui è rimasto il padre, anche durante una mia lunga relazione con un altro uomo. E anche quando è arrivato il mio attuale marito, padre del mio secondo figlio. Tornare indietro, dire la verità, a quel punto, dopo tutto quel tempo, mi sembrava impossibile.

Finché una sera, quando mio figlio aveva 21 anni e l’altro era molto piccolo, siamo usciti apposta per stare io e lui soli. E quella sera lui mi ha raccontato che con Antonio, mio primo marito e suo teorico padre, andava malissimo: «non si riesce a stare insieme».

Il loro era un rapporto mediato da me e inevitabilmente si era deteriorato negli anni. Lui era demoralizzato, molto in crisi e a quel punto io ho trovato il coraggio e gli ho detto: «prima o poi dovrò parlarti di questo». E lui: «per dirmi che non è mio padre?».

Ancora adesso non sa come gli sia uscita questa domanda. Non gli tornavano delle cose e aveva anche cercato una spiegazione in una possibile adozione. Mi ha detto che in fondo era come se l’avesse sempre saputo.

Intimamente la verità si conosce sempre.

Io, spiazzata, disorientata, impaurita, ho cercato di parlare, di spiegargli. Volevo che capisse perché non gli avessi detto la verità, ma lui non voleva ascoltare, non ne voleva sapere. Per anni si è rifiutato di parlare di questo. Poi, dopo anni di latenza, tutta la sua rabbia è esplosa e lui si è messo alla ricerca del padre. Per scoprire che era morto. Aveva 26 anni.

Ha scoperto allora dell’esistenza di altri fratelli nati dopo di lui, di cui anch’io non sapevo nulla, e la sua collera nei miei confronti è stata totale. Dopo aver conosciuto questi fratelli e la loro madre, non faceva che magnificarli, ipervalutarli, scagliandosi contro di me, contro l’unica sponda che avesse mai avuto. E ovviamente stava malissimo.

A un certo punto, stremato, è andato da una psicologa e lei ha cercato di reindirizzare la sua ira dicendogli: «tua madre aveva 18 anni, ti ha tenuto, ti ha allevato, ha lavorato come una pazza, perché ce l’hai con lei? Perché non le chiedi come mai non ha voluto stare con tuo padre? Perché non le dai la possibilità di spiegarsi?»

Quando mio figlio ha visto le foto di suo padre, quando ha conosciuto i suoi fratelli, all’inizio non sapevo più che cosa fare e che cosa pensare. Ero come paralizzata. Ma è stata proprio la donna inglese – che ha avuto un figlio a un anno esatto dalla nascita del mio – ad aiutarlo, a dirgli che io ero stata più intuitiva di lei, che avevo visto giusto ad allontanarmi da suo padre, e a dirgli: «ma come? Vuoi passare il Natale con noi? C’è tua madre, che ti ha allevato. Torna da lei».

Il padre di mio figlio era un uomo molto bello, parlava cinque lingue, era affascinante, era un artista, girava il mondo, ma era un uomo impossibile, violento. Avevo sempre pensato che un giorno mio figlio lo avrebbe conosciuto e giudicato da sé. Invece lui era morto. Niente di più di un morto per costruire un mito.

Il riavvicinamento è stato lento. Mio figlio era prigioniero del suo rancore. E questo era negativo e molto doloroso per entrambi. Noi siamo cresciuti insieme, lui è stata la persona attorno cui è ruotata la mia vita e lui mi stava distruggendo. Si compiangeva moltissimo e questo per me era intollerabile. Compiangersi non mi appartiene proprio, come modalità.

Il ritorno a me è stato lento, faticoso. Ci sono voluti anni. Non abbiamo mai interrotto i rapporti, ma prima che lui arrivasse a comprendermi è stato necessario tantissimo tempo. È solo da circa due anni che mi manifesta apertamente il suo apprezzamento. Ne ho sofferto tantissimo, e c’è stato un periodo in cui, a seguito delle sue accuse, ero caduta in uno stato catatonico, ero a pezzi.

Ora è cambiato tutto. Ci sono stati eventi personali e pubblici che lo hanno traghettato a ben altre considerazioni. E nonostante viva lontano da me, il nostro rapporto è ritornato molto stretto. E bellissimo.

Mio figlio è un artista, come il padre. E come lui, è un viaggiatore nato.

Io vivo con il mio secondo marito da quasi trent’anni. Con lui ho trovato il mio equilibrio. Non ho mai cercato un uomo che mi risolvesse la vita.

Mia figlio minore non conosce tutti i dettagli della mia storia, sa quel che c’è da sapere, però il riverbero che deve avere avuto il tutto anche su di lui, chissà, spesso me lo domando. Non ho una risposta precisa.

Mia nonna è morta da tanti anni, e mia mamma ora è molto anziana, malata. Ho passato anni senza vederla, pur abitando entrambe a Milano. La incontravo a Natale. Ma, nonostante il loro rapporto mancato, mio figlio maggiore è legato a lei tanto quanto l’altro al quale lei ha fatto invece da nonna, dopo un nostro riavvicinamento tardivo.

Lei vive della pensione di riversibilità del suo defunto secondo marito, in una situazione economica piuttosto pesante. E io per lei ci sono. L’ho perdonata. Da grande, ma l’ho perdonata.

autore

SF storie

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