CULTURE E SOCIETÀ Libri per l'infanzia e l'adolescenza

Fare una famiglia: un libro per l’infanzia. Parole, stereotipi, considerazioni

scritto da Laura Lombardi

Fare una famiglia è il titolo di un libro illustrato dove la storia è raccontata da un bimbo – o bimba – che descrive in prima persona una discussione fra parenti e conoscenti su che cosa “serve” per fare una famiglia. Osserva che, oltre a chi dice che servono due genitori e alcuni bimbi, c’è anche chi sostiene che insieme a un bimbo o bimba sono necessari una nonna, uno zio, magari con due gatti o un cane, mentre per altri servono due papà, o uno solo, o due mamme, o una sola, o altro ancora. E arriva infine saggiamente a sentenziare che tutti hanno torto e tutti ragione, perché in sostanza, per fare una famiglia, lui/lei lo sa, servono solo amore, rispetto e una casa.

Questa in estrema sintesi la proposta tematica di un libro per bambini di età prescolare – albo illustrato, testo in rima – che vuole essere un elogio alla diversità come ricchezza, all’imprevedibile, alle differenziazioni, all’imperfezione là dove per “perfezione” si intende il modello semplicemente più comune (forse) di famiglia.

Lo accompagnano illustrazioni a tutta pagina che propongono creature fantastiche, ibridi fra l’umano e l’animale, per lo più, chiaramente per evitare ogni forma di involontaria discriminazione o eventuale fraintendimento.

Quindi bene, molto bene, anzi. Un portato ovviamente apprezzabile e totalmente condivisibile, da noi in particolare, che sosteniamo questa tesi da molti anni, ma…

Mi dispiace rilevarlo, però un MA c’è, e piuttosto ingombrante, dal mio punto di vista. Proprio perché riguarda un libro scritto per andare contro uno stereotipo.

Che per andare contro uno stereotipo, non s’avvede di usarne un altro.

Nel descrivere la scena davanti ai suoi occhi, il bimbo/bimba narrante riporta quello che ha sentito dire da un professore in questo modo: Ho visto anche una coppia, spiegava il professore, che aveva un bimbo bianco e uno di colore.

Di colore. Ma di quale colore? Blu?

Che cosa dovrebbe intendere un bambino di cinque anni pensando a un suo simile di colore?

L’espressione di colore, riferito a un essere umano, è un derivato dall’espressione inglese colored, utilizzata negli Usa fino a pochi decenni fa per discriminare gli afroamericani. È un’espressione che porta con sé un enorme peso, sottende un’offesa, una minaccia, un orrore. Come la parola negro. Non dovremmo bandirla per sempre?

Se parliamo di un bimbo bianco, perché allora non parlare allora semplicemente di un bimbo nero? È la scelta più logica e naturale. Negli Usa, gli stessi afroamericani, per il loro recente movimento contro il razzismo sistemico hanno scelto l’espressione Black Lives Matter – le vite nere (dei neri) contano – peraltro sostenuto anche da Michelle Obama.

Quando ho iniziato a scrivere la recensione di questo libro avevo pensato di arrivare a questo punto con una conclusione più o meno di questo tipo: se già normalmente bisogna avere estrema cura nel maneggiare le parole, più che mai dovrebbe accadere con un testo che ne usa poche centinaia, visto che è destinato a bambini piccoli, e se queste parole sono poi anche messe direttamente in bocca a un bimbo/bimba piccolo/a, dovrebbero essere scelte solo quelle che rientrano nel loro linguaggio, nella loro comprensione.

In ogni caso, pur tenendo conto della défaillance, elogio agli intenti degli autori. Fine.

Invece, il ragionamento si è spinto oltre o è risalito a monte, per così dire, con considerazioni che vanno al di là del libro stesso.

Bianco e nero, quindi. Ma penso anche che, per salvare il concetto e la rima, all’autore sarebbe bastato scrivere: Ho visto anche una coppia, spiegava il professore, che aveva due bimbi dalla pelle di diverso colore.

E a questo punto però mi chiedo: ma perché non scrivere: i capelli – o gli occhi – di diverso colore?

E la domanda mi porta a un’ulteriore riflessione: ai bambini in verità non interessano le differenze di colore della pelle, degli occhi, dei capelli, i bambini non fanno distinzioni secondo il cognome, la provenienza, i soldi, il proprio sesso o il sesso e il numero dei genitori. Siamo noi adulti che le facciamo.

Quindi, mi domando, e la domanda non è retorica: è davvero necessario proporre questi temi ai bambini quando sono ancora così piccoli?

I pregiudizi e gli stereotipi sono propri degli adulti. È a tanti adulti che va purtroppo ancora spiegato che per essere Famiglia basta amore e una casa. Che se anche un figlio è di colore o adottato chi lo cresce è comunque un genitore.

Mi rispondo allora che, sebbene suoni paradossale l’operazione di scrivere un libro che parla di stereotipi per un destinatario che potenzialmente non ne vive alcuno, un’utilità c’è. Perché purtroppo troppo spesso noi adulti ci dimentichiamo di come i bambini abbiano una visione del mondo migliore della nostra, una visione pura, incontaminata, ideale. E che il rischio vero sia quello di corrompere questa visione, di contaminarla, facendo violenza alla loro potente immaginazione. Il rischio vero è minare il ”fantastico” che è in loro portandoli sul piano del nostro linguaggio e della nostra, ahimè, spesso scarsa immaginazione.

Ma, visto che troppo spesso lo facciamo, allora dobbiamo in qualche modo rimediare. E allora scriviamo dei libri per loro.

 

Per fare una famiglia, Lavieri, 2020
Albo per bambini di età prescolare, con testo di Mario Pennacchio e illustrazioni di Richolly Rosazza.

 


 

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autore

Laura Lombardi

Scrittrice, con un passato televisivo. Coordinatrice dell’area culturale ed eventi. Madre separata di una figlia, sono curatrice, insieme con Raethia Corsini, del progetto smALLbooks. Per il sito scrivo per la sezione “Magazine” e “Diario d’Autori”. Condivido con Giuseppe Sparnacci il progetto “Riletture in chiave smallfamily”.

Sono nata nel 1962, scrivo e ho un’unica adorata figlia nata nell’anno 2000. Con Susanna Francalanci ho scritto alcuni libri per ragazzi pubblicati dall’editore Vallardi e il giallo Titoli di coda, per Eclissi editrice. Per parecchi anni ho lavorato come autrice televisiva, soprattutto in Rai, soprattutto con la vecchia RaiTre. Prima ancora c’era stato il periodo russo, quello in cui ho frequentato Mosca, l’Unione Sovietica e la lingua russa.Il canto, la ricerca attraverso il suono e la voce, il tai chi, sono gli strumenti privilegiati con cui mi oriento. Amo camminare, soprattutto nel silenzio denso di suoni dei boschi dell’Alta Valmarecchia, dove ho la fortuna di avere una casa che saltuariamente apro per ospitare incontri, corsi e altre iniziative: Croceviapieve. Vivo il progetto Smallfamilies come parte fondamentale del mio percorso evolutivo.

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