(segue traduzione)
Старый князь говорил, что ежели он болен, то только от княжны Марьи;
что она нарочно мучает и раздражает его; что она баловством и глупыми речами портит маленького князя Николая. Старый князь знал очень хорошо, что он мучает свою дочь, что жизнь ее очень тяжела, но знал тоже, что он не может не мучить ее и что она заслуживает этого.
“Почему же князь Андрей, который видит это, мне ничего не говорит про сестру? — думал старый князь. – Что же он думает, что я злодей или старый дурак, без причины отдалился от дочери и приблизил к себе француженку? Он не понимает, и потому надо объяснить ему, надо, чтоб он выслушал”, — думал старый князь. И он стал объяснять причины, по которым он не мог переносить бестолкового характера дочери.
— Ежели вы спрашиваете меня, — сказал князь Андрей, не глядя на отца (он в первый раз в жизни осуждал своего отца), — я не хотел говорить; но ежели вы меня спрашиваете, то я скажу вам откровенно свое мнение насчет всего этого. Ежели есть недоразумения и разлад между вами и Машей, то я никак не могу винить ее — я знаю, как она вас любит и уважает. Ежели уж вы спрашиваете меня, — продолжал князь Андрей, раздражаясь, потому что он всегда был готов на раздражение в последнее время, — то я одно могу сказать: ежели есть недоразумения, то причиной их ничтожная женщина, которая бы не должна была быть подругой сестры.
Старик сначала остановившимися глазами смотрел на сына и ненатурально открыл улыбкой новый недостаток зуба, к которому князь Андрей не мог привыкнуть.
— Какая же подруга, голубчик? А? Уж переговорил! А?
— Батюшка, я не хотел быть судьей, — сказал князь Андрей желчным и жестким тоном, — но вы вызвали меня, и я сказал и всегда скажу, что княжна Марья ни виновата, а виноваты… виновата эта француженка…
— А присудил!.. присудил!.. — сказал старик тихим голосом и, как
показалось князю Андрею, с смущением, но потом вдруг он вскочил и закричал:
— Вон, вон! Чтоб духу твоего тут не было!…
Traduzione
Il vecchio principe disse che, se era ammalato, lo si doveva alla principessina Marja; che ella lo tormentava e l’irritava di proposito; che con le sue debolezze e i suoi stupidi discorsi guastava il piccolo principe Nikolàj. Il vecchio principe sapeva benissimo che era lui a tormentare la figlia, che la vita di lei era molto penosa; ma sapeva anche che non poteva fare a meno di tormentarla e che ella lo meritava. «Perché il principe Andréj, che vede tutto questo, non mi dice nulla della sorella?», pensava il vecchio principe. «Crede forse che io sia uno scellerato o un vecchio stupido, che mi sono allontanato senza motivo da mia figlia e accostato alla francesina? Non capisce e perciò bisogna spiegarglielo, bisogna che mi stia a sentire», pensava il vecchio principe. E cominciò a spiegargli i motivi per i quali non poteva sopportare il carattere assurdo della figlia.
– Se voi mi interrogate, – disse il principe Andréj, senza guardare il padre (per la prima volta in vita sua egli criticava suo padre); – io non volevo parlare, ma se voi m’interrogate, allora vi dirò apertamente la mia opinione su tutto questo. Se ci sono dei dissensi e dei malintesi tra voi e Maša, io non posso accusarla; so come vi ama e vi rispetta. Se voi m’interrogate, – seguitò il principe Andréj, irritandosi poiché in quegli ultimi tempi era sempre pronto a irritarsi – vi posso dire una sola cosa: se vi sono dei malintesi, la cagione ne è quella donna insignificante, che non avrebbe mai dovuto essere l’amica di mia sorella.
Il vecchio, da principio, guardava fisso il figlio e con un sorriso innaturale mostrava il vuoto del dente mancante, al quale il figlio non si poteva abituare.
– Ma che amica, colombello mio? Ah! Già ne hai parlato, eh?…
– Babbo, io non volevo erigermi a giudice, – disse il principe Andréj in tono bilioso e duro – ma voi mi avete indotto e io ho detto e dirò sempre che la principessina Màrja non ne ha colpa, ma la colpa… la colpa è di quella francesina…
– Ah, m’hai giudicato, m’hai giudicato!… – disse il vecchio a voce bassa, e, per quel che parve al principe Andréj, con confusione; ma poi a un tratto si scosse e urlò: – Fuori! fuori! Che non senta più qui neanche il tuo respiro!…
(Guerra e pace – libro III – parte prima – Einaudi 1942 e 1990, pagg 737-738)
Ogni uomo di ieri vale un uomo del domani
Rigidità e flessibilità
La disciplina flessibile (nel segno della flessibilità)
Disciplina e flessibilità del cuore
Il conte Nikolaj Bolkonskij, una delle figure secondarie ma contemporaneamente portanti del romanzo Guerra e Pace,è un uomo duro, incapace di arrotondare gli spigoli del suo carattere prevaricante, dittatoriale. Tolstoj ce lo propone ‘vecchio’, definitivamente ritirato nella sua tenuta di campagna, dove vive con la figlia Marja, ormai adulta. L’altro figlio, Andrej, si è già allontanato dalla casa paterna, si è sposato e vive in città. I due giovani, cresciuti dal padre vedovo con disciplina ferrea, hanno indole ed attitudini opposte, ma entrambi sembrano già prigionieri, loro malgrado, di un previsto e prevedibile avvenire. Influenzato e fortemente condizionato dal padre.
Il conte Bolkonskij è una persona che oggi definiremmo ‘disturbata’, maniacale, che impone a se stesso e agli altri regole e procedure rigidissime nello svolgimento della giornata, secondo un programma immutabile. La sua educazione dei figli si è chiaramente sempre basata su un criterio inflessibile secondo cui non si deve mostrare alcun tipo di debolezza, di emotività o di eventuale ripensamento sulle decisioni stabilite.
Quando la guerra e altri eventi della vita personale sconvolgono l’ordine prestabilito, il vecchio conte non cede, proprio non ce la fa. Ma è in queste circostanze che i due figli – soprattutto Marja – pur vincolata dal padre, dai suoi schemi mentali e materiali, mostrano invece di essere capaci di reagire e di rispondere in modo personale e autonomo, ovvero di essere ciascuno in grado di accogliere le istanze del proprio sentire, del proprio cuore.
La grandezza di Tolstoj scrittore sta in infinite componenti tra cui la capacità di descrivere le situazioni più disparate con immedesimazione impressionante. Ed ecco che dalle sue righe esce l’affresco di anime colte nei risvolti più intimi, più segreti, attraverso un’osservazione di totale rispetto e grazie alla capacità di mantenersi su quel raro punto di equilibrio in cui si dice tutto ciò che è dicibile e si lascia intuire perfettamente ciò che il pudore impedisce di rivelare.
E lo scandaglio accurato e gentile degli animi di Andrej e Marja ci rivela che
loro due, a differenza del padre, sono in grado di mostrare spirito di adattamento, flessibilità, franchezza, riguardo i propri sentimenti, proprio tutto ciò che sembrerebbe impossibile, sapendo che non sono mai stati veramente liberi di esprimersi. Si immaginerebbe piuttosto che possano avere delle reazioni di segno opposto, di incertezza, di scarsa autostima, di incapacità ad affrontare gli imprevisti. Accade piuttosto il contrario.
Il vecchio conte ha imposto la sua disciplina, ma è riuscito a non prevaricare le loro personalità, tendenze, inclinazioni; ha imbrigliato i loro programmi di vita, ma non i loro cuori.
Questo è stato possibile perché il vecchio conte ha amato e ama i suoi figli. E, fatto tutt’altro che scontato, li riconosce nella loro diversità quindi li rispetta nell’essenza. Certamente non vorrebbe mostrarlo. Certamente considera l’essere sentimentale una pecca insopportabile, e l’eventualità di mostrarlo una pecca anche maggiore, ma certamente si è reso conto che questo è un suo enorme limite. E, pur incapace di superare la contraddizione fra il suo sentire e il suo agire, se non in punto di morte, quando si lascia andare ad esprimere una frase affettuosa nei confronti di Marja, in un certo senso è stato un ‘buon genitore’ che è riuscito a fare in modo che del suo limite non siano vittima i suoi figli.
Tolstoj sonda i recessi del suo pensiero e noi avvertiamo, sappiamo, senza che ci venga detto in modo esplicito, che quest’uomo, pur consapevole dei danni che ne sarebbero potuti derivare, ha proposto come modello educativo e comportamentale l’unica modalità che conosceva, l’unica soluzione possibile, per lui, in quel momento. Ha, come si dice, ‘fatto del suo meglio’.
E i suoi figli lo sanno. L’hanno sempre saputo. E per questo non solo hanno sopportato, ma hanno anche continuato a rispettare questo padre bizzoso e scorbutico.
C’è un passaggio bellissimo che dice: Gli prese la mano nella sua, piccola e ossuta, la scosse, guardando dritto in viso al figlio coi suoi occhi acuti che sembravano vedere attraverso le persone, e rise di nuovo del suo riso freddo.
(libro I – parte prima, pag 123)
Qui c’è tutto. C’è la risata illogica di chi si deve mantenere distaccato, ma c’è quello sguardo che tutto comprende, che tutto vuole comprendere. E ancora:
– Il mio desiderio, “mon père”, è di non abbandonarvi mai, di non separare mai la mia vita dalla vostra. Io non voglio maritarmi, ella disse recisamente, guardando coi suoi begli occhi il principe Vasilij e il padre.
– Sciocchezze! Stupidaggini! Sciocchezze, sciocchezze, sciocchezze! – gridò il principe Nikolàj Andréič, accigliandosi; poi prese la figlia per mano, l’attirò a sé e non la baciò, ma, chinando la sua fronte verso la fronte di lei, la toccò soltanto, e strinse così forte la mano che teneva fra le sue che ella ebbe una contrazione sul viso e mandò un grido. (libro I – parte terza, pag 267)
E in punto di morte:
Poi aprì gli occhi e disse qualche cosa che per un pezzo nessuno poté capire e finalmente il solo Tichòn capì e ripeté. La principessina Màrja cercava il senso di quelle parole nell’ordine d’idee nel quale egli aveva parlato un momento prima. Pensava che volesse parlare della Russia, del principe Andréj, di lei, del nipote, della morte. Perciò non poteva indovinare quel che egli diceva.
– Metti il tuo vestito bianco, mi piace, – egli diceva. (libro III – parte seconda, pag 841)
Tolstoj sembra voler dissolvere il dubbio che dilaga tra molti genitori, e soprattutto tra le smallfamilies, là dove le linee educative sono condotte singolarmente e spesso non sono neppure ‘idealmente’ condivise, che un atteggiamento poco concessivo e la proposta di uno stile educativo, se non rigido perlomeno severo, determini il pericolo di ‘perdere’ il legame di complicità con i propri figli, spesso avvertito come condizione irrinunciabile.
Per non correre il rischio di imporre un sistema di regole troppo rigido si arriva persino ad assumere atteggiamenti anche fortemente contraddittori in cui il sistema di regole non esiste proprio, né rigido né flessibile.
Capita che il genitore, pur naturalmente portato, per indole e propensioni, ad avere atteggiamenti piuttosto impositivi, in un certo senso tradisca la propria natura nel dubbio che potrebbe compromettere un rapporto di scambio e di dialogo ‘facile’, concessivo, nell’idea che questa sia la chiave di relazione da ricercare a tutti i costi.
A nostro modo di vedere, è piuttosto evidente che questa chiave può funzionare soltanto se i soggetti coinvolti, sia genitore sia figli, sono persone che in questa modalità trovano linfa vitale nella loro crescita personale.
Ma se i figli, soprattutto nell’adolescenza, mostrano di avere maggiore bisogno del muro contro cui scontrarsi, del rifiuto che li stimola a prendere delle iniziative, insomma di un atteggiamento che dia forse maggiori stimoli alla formazione della loro personalità, sarebbe dannoso non farlo.
Per un genitore solo, soprattutto se il figlio è unico (e la percentuale dei genitori ‘single’ con un solo figlio o figlia è in aumento) è spesso ancor più difficile reggere una parte che indurrà quasi inevitabilmente a scontri o anche a sofferenze da parte del bambino/adolescente. Quando si è soli nel confronto quotidiano, ovvero anche se l’altro genitore esiste in modo attivo ma vive pur sempre altrove, si rischia in misura maggiore di rimanere vittime del senso di colpa per il poco tempo che si può destinare e per la paura di usarlo male. Ossia scatta un istinto protettivo eccessivo (sia nei confronti di sé sia del figlio-a) che si trasforma in una trappola, in una gabbia asfittica dove ben difficilmente un individuo può sentirsi libero di provare a mettersi in gioco.
Il vecchio conte Bolkonskij, pur essendo un esempio ‘estremo’, può ancora oggi dirci che, a volte, un genitore che sfida l’eventualità di risultare persino insopportabile per i propri figli, se agisce con chiarezza di vedute e con l’obiettivo di fare il loro ‘bene’ non in senso generico, ma in modo mirato alla specifica relazione, pur nell’insensatezza di alcuni atteggiamenti e gesti, pur nel rischio di commettere errori giganti, pur nel dispiacere di rinunciare anche ad alcuni momenti affettuosi e/o complici, ha ottime chances di costruire una relazione ‘forte’, destinata ad evolvere nel segno del rispetto reciproco.
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