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Una pesca per tre … e la bambina dov’è?

scritto da Carla di Quinzio

E la bambina dov’è?
Un sottotitolo volutamente provocatorio, per avviare una riflessione confrontando l’idea dei bisogni di bambine e bambini veicolata da una recente pubblicità di un noto supermercato e l’analisi dello sviluppo psicofisico dei bambini e delle bambine.

Noi esseri umani, lo sappiamo, alla nascita siamo incapaci di sopravvivere senza adulti che si prendano cura, e una certa immaturità biologica dura per diversi anni.
La principale conseguenza della lentezza dello sviluppo mentale è la maggiore plasticità delle strutture cerebrali date proprio dal lento sviluppo del cervello e questo soprattutto nei primi due decenni di vita.
Ne consegue che il gruppo di adulti: all’inizio le figure di riferimento e in seguito anche le altre agenzie educative, rappresentano il luogo fisico e mentale di possibilità, ma anche di rischio dato che lo sviluppo delle bambine e dei bambini dipende dalla qualità delle cure.
Rispetto agli altri mammiferi, il piccolo umano alla nascita è esposto al massimo di potenzialità, ma anche al massimo rischio di sopravvivenza fisica e psicologica.
È necessario pertanto avviare gradatamente le bambine e i bambini all’autonomia fisica allestendo fra l’altro un ambiente che permetta loro di fare esperienza.
Al contempo è necessario educarli a una competenza emotiva attraverso il riconoscimento di emozioni e di sentimenti.
Sottolineo che l’evoluzione del bambino avviene attraverso dinamiche relazionali con gli adulti significativi che hanno il compito di aiutarlo a sviluppare nuove potenzialità e capacità.
Potremmo dirlo in pochissime battute: i bambini e le bambine hanno bisogno di figure genitoriali mature che si prendano cura del loro sviluppo fisico e mentale attraverso la relazione.
Adulti maturi che siano in grado di rassicurarli e rassicurarle circa il loro amore incondizionato e al contempo capaci di costituire una base sicura e un modello da cui apprendere e da cui spiccare il volo. Adulti che sappiano assumere la responsabilità del loro ruolo, non certo persone che chiedono di essere confermati come bravi genitori da figli performanti.

Da diversi anni lavoro con famiglie di ogni forma e tipo sia in strutture pubbliche, sia in studio privato e vedo ogni giorno che la sofferenza dei bambini e degli adolescenti non ha attinenza con il tipo di famiglia, sia essa monogenitoriale, plurigenitoriale, omosessuale, eterosessuale.
Quel che provoca sofferenza e smarrimento è l’immaturità affettiva dei genitori.

Un genitore immaturo non riesce a vedere la bambina, il bambino, li perde emotivamente perché è egli stesso perso. Pone il figlio nella impossibile e dolorosissima condizione di essere il genitore del proprio genitore.
Il bambino e l’adolescente adultizzato assume su di sé la colpa delle mancanze dei suoi genitori.

Il processo che ho descritto non ha nulla a che vedere con lo stato civile famigliare. I genitori che attivano tali dinamiche possono essere sposati, divorziati, conviventi, monogenitori, eterosessuali, omosessuali, non è quello il punto.
Sposterei invece il fuoco sulle difficoltà genitoriali di adulti incapaci di assumere la responsabilità di contenere e aiutare i figli a conoscere e nominare le emozioni e i sentimenti che li attraversano e questo, lo ribadisco, a prescindere dalla condizione anagrafica e di genere.
Adulti che probabilmente hanno attraversato la stessa esperienza nell’infanzia, infatti colpevolizzare quei genitori non ci aiuta, è necessaria una analisi fenomenologica del problema. Sono adulti che hanno bisogno di aiuto che non può essere richiesto ai loro piccoli figli e figlie. Ci dovrebbe essere una comunità educante, una possibilità di confronto con altri genitori, con la scuola, con esperti.

L’ideologia della famiglia nucleare eterosessuale come unica possibilità di crescita armoniosa dei bambini è un’illusione priva di alcun fondamento pedagogico.
Ipotizzare che una famiglia monogenitoriale sia di per sé fonte di sofferenza per i figli è gravemente fuorviante nel senso letterale.
Infatti temo che siamo fuori strada se ipotizziamo che una bambina che ricorre a  sotterfugi nel tentativo di riunire la famiglia stia soffrendo per la separazione dei suoi genitori. Molto più probabilmente la bambina si sente responsabile della separazione dei genitori e la differenza non è banale.
I bambini temono di perdere l’amore dei propri genitori e devono essere rassicurati soprattutto quando ci sono dei cambiamenti, non mi riferisco solo alla separazione dei genitori. Probabilmente questa bimba non si sente a proprio agio nel manifestare le sue paure, il suo smarrimento.

A volte i genitori si mettono in competizione fra loro e vorrebbero essere scelti come il migliore o la migliore. Dinamica osservata molto spesso in ogni forma di famiglia. I figli non possono essere messi in quella condizione. Troppo doloroso per loro e  gravi le ricadute sullo sviluppo psicofisico che ho descritto.
Triste vedere che attraverso la bella sceneggiatura si vada a colpire e a colpevolizzare direttamente le famiglie monogenitoriali provocando e aggiungendo sofferenza di cui davvero non se ne sente il bisogno spostando il problema.

Allora mi chiedo, quale posto occupano la bambina, il bambino, i genitori nella società dei consumi? Esistono solo in quanto potenziali consumatori? E il profitto può passare su tutto?

Le domande restano necessariamente aperte e il mio invito è quello di essere critici rispetto ai “consigli per gli acquisti” e di riflettere per non perdere la bambina o il bambino che siamo stati e quelle e quelli che oggi dipendono dalla nostra capacità di esserci.

autore

Carla di Quinzio

Filosofa, faccio parte dell’Associazione PHILO pratiche filosofiche e dei servizi convenzionati con l’associazione Smallfamilies®. Sono tra le fondatrici dello “Sportello per madri e padri soli”, iniziativa nata in partnernariato con Smallfamilies®. Per questo sito scrivo consigli/interventi/risposte/ per l’area “Corpo-Spirito-Mente”.

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