Abitare CULTURE E SOCIETÀ

Abitare oggi: flessibilità tecnologica e spaziale

scritto da Gisella Bassanini

Abitare oggi, abitare in modo contemporaneo ovvero con flessibilità tecnologica e spaziale. Si racconta in un libro del quale voglio parlarvi insieme con l’autrice. Ma prima una premessa

Più volte abbiamo detto e scritto come vi sia tra le priorità dell’associazione Smallfamilies l’individuazione di soluzioni pratiche e di politiche sul tema – e problema – della casa per le famiglie a geometria variabile (qui la rassegna di post dedicati al tema)

Seguiamo con attenzione lo sviluppo e la sperimentazione di progetti innovativi capaci di integrare i diversi settori di intervento nel tentativo di considerare la casa come parte dei servizi di un territorio e del sistema di welfare locale. Sosteniamo ogni iniziativa che promuova una riflessione sul tema a partire dalle trasformazioni del contesto sociale, culturale ed economico che caratterizza sempre più il nostro Paese, con attenzione al disagio abitativo che coinvolge molte persone, i genitori single in primis. Siamo consapevoli che ai mutamenti demografici, alla variazione degli stili di vita, alla trasformazione dei bisogni abitativi che sono sotto i nostri occhi quotidianamente non corrispondano – ancora oggi – risposte adeguate, soprattutto in Italia.

Da questa prospettiva ho letto il lavoro di Cristiana Cellucci e Michele Di Sivo, Habitat contemporaneo. Flessibilità tecnologica e spaziale (FrancoAngeli, Milano, 2016). Un lavoro interessante che ha il merito di restituire un quadro del dibattito teorico e progettuale che si è sviluppato attorno al problema dello spazio della casa e dei sistemi tecnologici: il rischio di diventare tecnicamente e funzionalmente obsoleti.

In altre parole: l’incapacità di gestire dal punto di vista edilizio le incertezze del contesto sociale ed economico e le mutevoli esigenze degli abitanti e dell’ambiente, per riprendere il pensiero degli autori. Al contempo, questo testo ha il pregio di non limitarsi al solo panorama teorico ma di offrire anche un insieme di esempi, di casi concreti, di progetti più o meno realizzabili.

È un testo che si rivolge a un pubblico specializzato, dentro e fuori l’università; nonostante ciò, credo possa rappresentare uno strumento da cui partire per sviluppare alcune riflessioni utili anche a chi non è un operatore del settore. La difficoltà di abitare case che non ci corrispondono, spazi che sentiamo estranei, tipologie le cui taglie per dimensione e articolazione non rappresentano più il nostro modo di abitare – di essere famiglia – sono questioni che ci riguardano da vicino.

L’abitare è un sistema cangiante di relazioni umane, ambientali e tecniche che non sempre chi pianifica, progetta e costruisce è stato capace di interpretare nella sua vitale e articolata complessità, in particolare in questi ultimi decenni.

Le esigenze funzionali (avere un tetto sopra la testa e un insieme più o meno vario di stanze destinate alle diverse attività quotidiane) non bastano per realizzare forme abitative in grado di ospitare quel sentimento dell’abitare – quel “sentirsi a casa “, quel “fare casa” – che travalica la dimensione spaziale e materiale e coinvolge la sfera più soggettiva e intima di chi abita, e la relazione del tutto personale che si ha con questo luogo. Relazione che non è data una volta per tutte ma cambia nel tempo, che si trasforma al mutare delle stagioni della vita, delle configurazioni familiari, delle nostre condizioni materiali, psicologiche, emotive, affettive.

“Flessibilità” è la parola-chiave che, nelle sue diverse accezioni e al mutare del contesto storico di riferimento, si fa strada nel libro tra elaborazioni teoriche, considerazioni tecniche e soluzioni progettuali, queste ultime raccolte nel testo in una serie di schede-progetto.

Con Cristiana Cellucci, co-autrice del testo, mi sono confrontata su alcune questioni. Qui di seguito in sintesi la nostra conversazione:

Analizzando le diverse schede relativi a progetti recenti colpisce l’assenza pressoché totale di casi italiani. Si tratta di una precisa scelta degli autori o è piuttosto la dimostrazione di un disinteresse generale al tema che rileviamo nel nostro Paese?

A parte una parentesi interessante, in cui un gruppo di designer, tra cui Colombo, Zanuso, Sottsass, ragionano su uno spazio domestico personalizzabile, non destinato, appunto, ad uno specifico consumatore, bensì ad utenti diversi e per questo differenziato in maniera soggettiva,

lo spazio dell’abitare, nel nostro paese, è stato e continua ad essere pensato come un prodotto rigido,

concepito con un’unica identità, adatto alla famiglia tipo (genitori + figli) che vive in maniera radicata e stabile un territorio. Questo tipo di abitazione che si configura come somma di stanze (bagno + cucina + living + camere da letto in funzione del numero di persone) è un prodotto di mercato e pertanto soggetto a inerzie commerciali tendenti, per la maggior parte, alla banalizzazione dei messaggi: modelli comuni a vocazione universale. Eppure la casa, che in spagnolo è chiamata vivienda (spazio per vivere, da vivere, dove vivere), non è solo un volume sotto il quale proteggersi dalle intemperie e svolgere una serie di funzioni standard, ma è un luogo molto più inclusivo della persona nello spazio, è proiezione stessa dell’esistenza della gente che lo abita. La casa è la più perfetta espressione del Sè, dove esercitare il proprio dominio e proiettare la propria personalità, capace di soddisfare esigenze fisiche e psicologiche che variano in ciascuno di noi nel corso del tempo e da persona a persona. Il perché, in Italia, alla complessità del sistema abitante/spazio corrisponda un’offerta abitativa rigida, è da ricercarsi nel difficile passaggio da “una casa dignitosa” per la famiglia tipo – che con la sua ripetitività, asetticità, comunica riconoscibilità, familiarità – a “una casa stimolante” per l’abitante, in cui quest’ultimo è protagonista, ed ha possibilità di scelta sugli elementi dello spazio e sullo spazio abitato. Del resto, è metafora dell’atteggiamento dell’uomo dinnanzi alla vita: estraneità o coinvolgimento, contemplazione o azione. Nonostante la “questione della casa” è un tema sempre attuale, mancano strategie capaci di affrontare le trasformazioni economico-sociali che la società italiana si trova a dover affrontare, tra cui il ripensamento delle normative, esageratamente rigide e farraginose che non lasciano margini di creatività e di invenzione progettuale.

Dopo aver osservato con attenzione e interesse le schede-progetto raccolte nel libro e il loro modo di interpretare la flessibilità, resta, almeno a me, un senso di inadeguatezza. Come è possibile far precipitare tutte le soluzioni selezionate, da quelle spaziali al progetto di pareti attrezzate e mobili, nella nostra vita ordinaria? Nelle case che magari ci apprestiamo a ristrutturare o in quelle che dobbiamo riorganizzare internamente potendo contare magari su budget limitatissimi?

Nel libro si individuano varie soluzioni per adattare lo spazio alle richieste varie e diversificate che la società, in continua evoluzione, richiede e richiederà. Alcune regole sono semplici e apparentemente banali – come la scelta delle strutture portanti, la predisposizione di più accessi in abitazioni di grandi dimensioni, la corretta posizione delle zone umide, degli impianti, per renderli facilmente ispezionatili e modificabili – altre più complesse, come soluzioni che riguardano l’involucro dell’edificio o l’ampliamento della casa nel tempo.

Non sempre (anzi probabilmente mai) è possibile far partecipare tutte le soluzioni individuate al progetto, ma è evidente che

la combinazione di più strategie progettuali è spesso più efficace.

Ad esempio la semplice scelta, in fase di progettazione, di predisporre in appartamenti di grandi dimensioni, due accessi e una predisposizione di più punti di adduzione del gas e dell’acqua, facilita dal punto di vista tecnico ed economico una futura divisione dell’appartamento in due unità abitative. Soluzione utile ad esempio per fronteggiare la

situazione di persone anziane o di persone che hanno perso delle abilità, le quali hanno bisogno di avere la loro indipendenza

ma nello stesso tempo anche della vicinanza alle persone che se prendono cura. Le due unità, trasformate in abitazioni di piccole dimensioni, possono ottimizzare lo spazio impiegando elementi mobili di separazione e collegamento oppure introducendo pareti attrezzate domotiche che consentano di utilizzare la stessa superficie in modo diverso.

esempi di planimetrie

La scelta delle strategie naturalmente dipende dalla dimensione dell’alloggio e dalla previsione di spesa. Per unità abitative di piccole dimensioni sarebbe superflua, ad esempio, la pianificazioni di più ingressi, in quanto la superficie ridotta impedisce qualsiasi divisione; sarebbe invece utile programmare una futura estensione, ampliamento dello spazio, ad esempio su una loggia esterna, per garantire risposte adeguate al nucleo familiare che si allarga o che raggiunge le disponibilità economiche per realizzare sulla propria casa quegli investimenti che prima non erano pensabili.

Per quanto riguarda i costi, l’applicazione della flessibilità esige un’analisi economica riferita non all’immediato, bensì al lungo periodo: il costo iniziale maggiore sarà, infatti, ammortizzato nel tempo dal risparmio sulle spese di manutenzione e di trasformazione dell’abitazione.

Pensando alle famiglie a geometria variabile quale suggerimento o progetto ritieni più interessante di altri, e perché?

Oggi occorre ripensare lo spazio abitativo in funzione di un’utenza, che non è la famiglia tipo, per cui ancora oggi si continua a costruire. Il panorama attuale dell’utenza è molto più complesso, fatto di persone che si trovano spesso a condividere la stessa abitazione per motivi di studio, di lavoro o economici (vedi la permanenza prolungata dei giovani nell’abitazione familiare) o di convivenze forzate (vedi coppie separate, o la questione dei migranti).

Sono inoltre cambiati i tempi e i modi di vivere lo spazio della casa, basti pensare a quanti portali sono presenti sul web che ci propongono soluzioni per guadagnare dalla nostra abitazione, affittando una stanza a un turista o organizzando cene ed eventi all’interno della nostra casa.

Dal punto di vista progettuale mi sembra appropriata una riflessione sulla relazione tra “spazi collettivi” e “spazi di privacy” all’interno dell’abitazione, considerando appunto queste “famiglie nuovo modello” come una piccola collettività che ha la necessità di trovare nella propria casa spazi che garantiscano individualità e privacy insieme ad altri destinati all’incontro, in cui il singolo possa sentirsi parte di tale collettività.

Porre dunque l’utenza, con sue esigenze fisiche e psicologiche, al centro del progetto e considerare la progettazione come un’attività

che associa le necessità dell’utenza a soluzioni in grado di accoglierle, che non è purtroppo del tutto scontata, dato che nella realtà ci troviamo spesso nella condizione di adattarci a costruzioni standardizzate – le quali tentano di ospitare, un ampio spettro di utenze, in un piccolo numero di unità tipo – piuttosto che adattare, come sarebbe più logico e umano, lo spazio ai suoi abitanti.


Immagine di apertura: un’opera di Escher

autore

Gisella Bassanini

Docente e ricercatrice, ho una figlia, Matilde Sofia. Coordino le attività di  Smallfamilies aps di cui sono fondatrice e presidente.  Seguo in particolare  l’area  welfare e policy, le questioni legate all’abitare e per il nostro Osservatorio mi occupo dello sviluppo  di  progetti di ricerca sulle famiglie monogenitoriali e più in generale sulle “famiglie a geometria variabile”.

Abito a Milano (città che amo) e, dopo la laurea in architettura al Politecnico di Milano,  ho trascorso molti anni  impegnata  in università (dottorato di ricerca, docenza, scrittura di libri) e nella libera professione (sviluppo di processi partecipativi,  piani dei tempi e degli orari della città, approccio di genere nella progettazione architettonica e nella pianificazione urbana). Ora insegno materie artistiche nella scuola pubblica e continuo nella mia attività di studio e ricerca in modo indipendente. La nascita di mia figlia nel 2001 ha trasformato profondamente (e in meglio) la mia vita, nonostante la fatica di crescerla da sola. Da allora, il desiderio di fare qualcosa per-e-con chi si trova a vivere una condizione analoga è diventato ogni giorno più forte. Da questa voglia di fare e di condividere, e dall’incontro con Michele Giulini ed Erika Freschi, è nata Smallfamilies aps, sintesi ideale della mia storia personale e del mio percorso professionale.

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