“Il divorzio è legge. Grande vittoria della libertà”. Così titolavano, in prima pagina, tutti i quotidiani italiani 50 anni fa, quando, l’1 dicembre 1970, venne approvata la legge Fortuna Baslini, isitutiva del divorzio; 4 anni dopo, il 59% degli italiani che votarono “NO” al referendum abrogativo della legge promosso dalla Democrazia Cristiana e sostenuto da una larga fetta di popolazione autoproclamatasi a difesa della “integrità della famiglia”. L’istituto del divorzio aveva palesato agli occhi di tutti un radicale cambiamento culturale, il desiderio di affrancarsi dall’idea del matrimonio quale vincolo indissolubile tra due persone eternamente legate dallo status coniugale, conquistando il diritto di tornare “liberi” e di rifarsi una vita una volta finito l’amore.
Da allora, sebbene ancora oggi da taluni venga sbandierata una presunta integrità del matrimonio tra uomo e donna a difesa di una presunta famiglia naturale, di passi avanti ne sono stati fatti tanti: il termine famiglia ha acquistato un significato molto ampio che include diverse forme di legami di amore e di affetto, e lo stesso istituto del divorzio è progressivamente cambiato, perdendo sempre più i suoi tratti pubblicistici legati ad una concezione di matrimonio come “atto di dedizione e sacrificio degli individui nell’interesse della società”, per diventare sempre di più un fatto privato. In particolare, negli ultimi anni, complice anche l’emancipazione delle donne, il divorzio è diventato non solo culturalmente accettato in ogni dove (a piccoli passi, persino dalla Chiesa), ma anche più facilmente accessibile e più attento alle esigenze delle singole famiglie e delle singole coppie che oggi possono anche scegliere in che modo divorziare. Sul tema, la svolta si è avuta col DL 12 settembre 2014 n. 132 (convertito con modificazioni nella Legge 10 novembre 2014 n. 162) il quale, attraverso l’introduzione dell’accordo davanti all’Ufficiale di Stato Civile e della negoziazione assistita, ha istituzionalizzato il principio della “degiurisdizionalizzazione” di separazione e divorzio, ammettendo e sponsorizzando la loro conduzione fuori dai Tribunali nel tentativo dichiarato di decongestionare la giustizia, ma – di fatto – consentendo l’allontanamento di tali istituti dalle sterili e dannose dinamiche di conflitto tipiche dei procedimenti giudiziali, e consegnando ai coniugi stessi il diritto e il potere di decidere e negoziare le condizioni del proprio divorzio (o della propria separazione). La spinta verso la definizione di accordi divorzili (e separativi) fuori dai Tribunali rappresenta, nel profondo, il riconoscimento della capacità delle persone di risolvere i propri conflitti senza dover necessariamente delegare a un Giudice terzo le decisioni sul futuro proprio e della propria famiglia; rappresenta un atto di fiducia verso le persone e un incoraggiamento alla loro responsabilizzazione.
Oggi, una coppia che intenda divorziare lo può fare, dopo soli 6 mesi dalla separazione (e non più aspettando 3 anni), o decidendo di percorrere la via tradizionale e quindi delegando agli avvocati la ricerca di accordi o, dove ciò non fosse possibile, la rappresentanza in giudizio al fine di ottenere dal Tribunale una sentenza di divorzio; oppure può decidere di avvalersi del procedimento di negoziazione assistita, mantenendo per sé il potere di decidere le condizioni del proprio divorzio affidandosi sì a degli avvocati, ma solo per essere guidati nella negoziazione di cui i coniugi stessi restano protagonisti; in particolare, l’accordo raggiunto tramite negoziazione assistita sarà poi, dai due avvocati, depositato presso la Procura per essere oggetto di nulla osta (in assenza di figli minori o incapaci o maggiorenni non economicamente autosufficienti) o autorizzazione (in presenza di figli) da parte del PM che darà al divorzio effetti definitivi, a decorrere dalla sottoscrizione dell’accordo.
L’accordo, inoltre, può essere raggiunto anche attraverso procedimenti speciali quali la mediazione familiare o la Pratica Collaborativa: nel primo caso, i coniugi decidono di essere guidati da un unico mediatore nell’individuazione delle condizioni di divorzio; scegliendo la Pratica Collaborativa, invece, i coniugi decidono di intraprendere un percorso negoziale più ampio e profondo, che possa portarli, con l’aiuto di un TEAM di esperti collaborativi composto da un avvocato per ciascuna parte e, al bisogno, da commercialisti, facilitatori della comunicazione ed esperti dell’età evolutiva, alla definizione condivisa di tutti gli aspetti del divorzio, compresi, auspicabilmente, quelli relazionali.Infine, quale estrema possibilità, due coniugi, oggi, potrebbero separarsi anche senza ricorrere agli avvocati: qualora infatti non abbiano figli minori (o incapaci o maggiorenni non economicamente autosufficienti) e non debbano definire tra loro questioni di natura patrimoniale, potrebbero sciogliere definitivamente il loro vincolo matrimoniale sottoscrivendo un modulo dinanzi all’Ufficiale dello Stato Civile del Comune del luogo di residenza di almeno uno dei coniugi o del luogo ove il matrimonio fu trascritto, a costi e con tempi praticamente azzerati e con l’elisione definitiva di ogni intervento di controllo o autorizzativo sulla loro libertà di scelta.
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